Vi propongo un’incursione nel mondo dei giochi e dei videogiochi.

Per un certo numero di persone, tra le quali ci sono anch’io, la plancia di un gioco da tavolo, la schermata iniziale di un’avventura grafica, la bustina chiusa di un mazzo di carte collezionabili rappresentano la porta di accesso a un mondo riposante, eccitante, consolatorio, nel quale fare pratica del mondo reale senza i suoi rischi e le sue pesantezze. Ho sempre considerato la mia passione per il gioco e quella per la lettura come i due lati della stessa medaglia: una medaglia che, come la giri la giri, ha sempre il potere di moltiplicare le esperienze.

Rispetto ai classici consigli di lettura per l’estate, questi miei arrivano parecchio in ritardo: del resto il giocatore considera, fin dall’infanzia, l’estate una parentesi bella, sì, ma decisamente troppo lunga, funestata da quell’insopportabile e reiterato invito dei genitori ad andare fuori-a-giocare-che-con-questo-sole- è-un-peccato-passare-il-pomeriggio-in-casa-davanti-a-uno-schermo (e ogni volta avresti voluto rispondere che alle sei meno un quarto è sera, mannaggia la miseria, non pomeriggio! Ma poi non lo facevi mai e uscivi a giocare, che era pure bello ma non così bello come combattere il mostro finale del quarto livello). Ecco perché il primo fresco di settembre, il primo maglione, il primo cielo già scuro fuori dalla finestra alle sei di sera, sono sempre stati per me motivo di una segreta felicità.

Ed ecco allora i miei consigli per la fine dell’estate.

GRIM FANDANGO

(Qui mi dilungherò un po’, vi avviso, ma è una questione di cuore)

Avete presente Coco, il capolavoro Pixar ambientato nel regno dei morti?

Ebbene, non appena ho visto per la prima volta il manifesto del film, due parole che giacevano sul fondo della mia memoria, sepolte da vent’anni di ricordi sovrapposti, sono riaffiorate di colpo: Grim Fandango!

Grim Fandango è un videogioco della LucasArts, uscito nel 1998 e basato sulla concezione azteca dell’aldilà come un luogo da attraversare per raggiungere il riposo eterno, con il rischio di smarrirsi lungo il viaggio e svanire per sempre. Intendiamoci, il fatto di condividere l’immaginario con un videogioco di vent’anni prima non toglie una virgola alla bellezza e all’originalità di Coco: anzi, aggiunge ai suoi innumerevoli pregi anche quello di avermi fatto ricordare le ore passate a guidare Manny Calavera attraverso i corridoi del Dipartimento della Morte, nel folto della Foresta Pietrificata, tra i bar di Rubacava e in decine di altri luoghi.

Nel mio ricordo Grim Fandango occupa lo stesso spazio dei grandi romanzi che ho letto e amato.

Per darvi un’idea almeno approssimativa di cosa abbia di così speciale questa graphic adventure, provo a riassumere alcuni aspetti salienti della trama (senza spoiler, perché il mio obiettivo è convincervi a giocarci!). Nel mondo immaginato da Tim Shafer e dal suo team di sviluppatori, le anime dei defunti,  dopo il trapasso iniziano un lungo viaggio attraverso il regno dei morti, nel tentativo di raggiungere il Nono Aldilà e quindi la pace eterna. Il viaggio, senza l’ausilio di particolari mezzi di trasporto, dura circa quattro anni ed è così faticoso e pericoloso che molte anime si perdono, altre muoiono definitivamente, altre ancora (idea bellissima, anche dal punto di vista esistenziale) finiscono con il diffidare dell’esistenza del Nono Aldilà e scelgono di trascinarsi tra le mille divagazioni che il Regno dei Morti offre: bar, locali, bische e infiniti altri divertimenti (nel senso letterale di deviazioni dalla strada maestra). Abbiamo detto che il viaggio attraverso il regno dei morti dura quattro anni in condizioni normali: se tuttavia il defunto, durante la vita terrena, si è comportato in modo ineccepibile, subito dopo la morte riceve un biglietto grazie al quale può prendere comodamente posto sul treno Numero 9, che in soli quattro minuti lo conduce al Nono Aldilà. Se il comportamento della persona in vita è stato dignitoso, ma non perfetto, invece del treno essa avrà comunque diritto a un mezzo di trasporto comodo e sicuro: una macchina, una carrozza e via via scendendo, in relazione ai meriti accumulati in vita. Chi invece, negli anni della vita terrena, non ha meritato nulla, una volta giunto nel regno dei morti riceverà in dote un semplice bastone, che potrà essergli d’aiuto nel viaggio che dovrà affrontare a piedi!

Poteva andare peggio? Sì, e infatti a te (cioè a Manny Calavera, il personaggio che tu controlli) è andata peggio. Manny Calavera lavora per il Dipartimento Della Morte, struttura ciclopica, farraginosa e, scopriremo, corrotta, che gestisce dal punto di vista burocratico e logistico l’assegnazione a ciascuna anima del giusto biglietto per il Nono Aldilà. Presso il Dipartimento lavorano le anime delle persone che, durante la vita terrena, si sono macchiate delle peggiori colpe e pertanto non sono autorizzate  a intraprendere con nessun mezzo (nemmeno a piedi) il viaggio verso il Nono Aldilà, dovendo prima espiare le proprie malefatte lavorando.
La tua avventura nell’immenso mondo di Grim Fandango inizia da un ufficio modesto e disadorno, dentro il quale il tuo personaggio sbriga noiose pratiche, litiga con il collega che gli ruba i clienti, flirta con la segretaria del capo e, nel frattempo, si domanda che cosa diavolo abbia commesso di così grave in vita per meritarsi quella sorte: perché Manny davvero non ricorda di aver commesso crimini tali da meritargli, una volta morto, la sorte peggiore tra tutte. Una prima, parziale risposta a questa domanda è la molla che dà il via all’avventura. Non aggiungo altro sulla trama perché da qui in poi ogni parola è spoiler.
Ma per quanto geniale sia, non è la trama ad aver fatto innamorare di Grim Fandango me e un agguerrito manipolo di altri giocatori, bensì qualcosa d’altro, che con la trama ha a che fare in modo laterale e che provo a descrivere.
In Grim Fandango, come in tutte le avventure grafiche, per portare avanti la storia e tirare fuori Manny Calavera dai guai e dalle impasse nelle quali si trova di volta in volta, ci viene chiesto di visitare luoghi, parlare con persone, raccogliere oggetti. Alcune di queste azioni si riveleranno utili, magari molto tempo dopo, ai fini della soluzione del gioco, altre no. Queste ultime sono le cosiddette “false piste”, ovvero informazioni errate o irrilevanti, oggetti solo apparentemente preziosi, luoghi pieni di pericoli e privi di utilità per il personaggio, che hanno la funzione di rendere il gioco più difficile, divertente e realistico. Essere bravi a creare false piste è uno degli skills (si dice così) più apprezzati in uno sceneggiatore di videogiochi, e se considerate che lo sceneggiatore di videogiochi è uno dei mestieri meglio pagati tra quelli che hanno a che fare con la narrazione, capite che essere bravi a creare le false piste è una gran bella dote.
Tutte le avventure grafiche sono piene di false piste, ma in Grim Fandango esse sono raccontate, disegnate, immaginate non solo con l’intento di sviare il giocatore da una soluzione troppo rapida del gioco, bensì – non trovo un’altra parola per dirlo – con amore.

A distanza di vent’anni, per esempio, mentre ho moltissimi vuoti di memoria circa i dettagli della trama e della soluzione del gioco, ricordo ancora perfettamente, come se ci avessi giocato ieri sera, l’atmosfera di alcuni luoghi, il fascino di alcuni personaggi. Penso per esempio alla cittadina portuale di Rubacava: ricordo solo molto vagamente il motivo per cui io e Manny Calavera ci trovassimo a girovagare tra i bar, i moli, le insegne scassate e le orchestrine di Rubacava (stavamo cercando un marinaio, se non sbaglio: un tizio di nome Naranja), ma ricordo perfettamente la malinconia gaudente che pervadeva quel luogo, pieno di anime disperse, losche, fragili e tutte irrimediabilmente in fuga da qualcosa, non fosse altro dal pensiero del Nono Aldilà che, ormai da tempo, avevano rinunciato a inseguire.
Dimenticare la trama e ricordare le atmosfere, mandare a memoria sparsi frammenti di dialogo e non ricordare il contesto in cui esso si svolgeva, considerare come amici intimi certi personaggi secondari di una storia pur senza avere più la minima idea di quale fosse il loro ruolo nella trama è esattamente quello che mi succede quando, a distanza di anni, ripenso a molti dei romanzi che ho amato di più.
Ecco dove sta la grandezza di questo gioco: Grim Fandango, con la sua grafica grottesca e le sue anime disperse, è più di un videogame: è un romanzo in movimento.

La mia perorazione di Grim Fandango finisce qui e se volete potete tranquillamente saltare le prossime righe e andare direttamente a leggere i suggerimenti sui giochi di società e sui libri dedicati al tema del gioco, che si trovano più in basso e sono molto più stringati. Però mi è tornato in mente all’improvviso un ricordo d’infanzia, che spiega bene che cosa sono le false piste. Leggetelo solo se avete tempo.

Grim Fandango

BONUS TRACK

Nel ricordo ci io che sto andando a pranzo da una zia la cui casa si trova accanto a un’edicola.
L’edicola vende, tra altre cose, anche giochi per il Commodore 64, messi in bella mostra su un espositore a griglia.
Quei videogiochi costano tra le cinque e le diecimila lire.
I videogiochi venduti nei negozi specializzati costano almeno trentamila lire.
Io, che ho undici anni, so benissimo che i videogiochi da trentamila lire valgono di solito ogni lira del loro prezzo, mentre quelli da cinquemila lire non valgono nulla. Insomsoma, so con esattezza che sto per farmi fregare. Ma è domenica, ho ancora da parte i soldi della tombola di Natale e soprattutto l’immagine di copertina di quel gioco è così bella (e lo è davvero, perché il misero budget che quella misconosciuta casa di produzione aveva a disposizione, del tutto insufficiente per accaparrarsi programmatori degni di questo nome, è stato speso per far realizzare a un bravo illustratore quel disegno di copertina, oggettivamente splendido, che rimarrà l’unica cosa decente che ricorderò di quel gioco). Il ricordo prosegue. Durante il pranzo a casa della zia, già a metà tra il primo e il secondo, inizio a chiedere a che ora si va a casa, perché non vedo l’ora di provare il mio nuovo acquisto. Torno a casa e inizio a giocare. Il gioco è un’avventura grafica (come Grim Fandango), nel senso che, per arrivare alla fine e vincere devi risolvere enigmi, raccogliere oggetti, parlare con persone eccetera.

Superato lo shock iniziale per la grafica fatta di grossi pixel, che non ha nulla a che vedere (per i motivi che sappiamo) con lo splendido disegno di copertina, scopro che come prima cosa devo recuperare una chiave e che forse qualcuno degli ospiti dell’albergo in cui è ambientato il gioco sa dove si trova. Di ospiti ne incontro in tutto quattro, tre dei quali sono così poco definiti graficamente che a stento li distinguo dalle piante di ficus di cui è adornata la hall dell’albergo (le quali a loro volta richiedono un notevole sforzo di fantasia per essere riconosciute come piante di ficus). Uno dei clienti invece ha un aspetto passabilmente umano (diciamo circa come quello del personaggio che muovo io). Siccome voglio dare al gioco una possibilità, provo comunque a fare una domanda a uno degli uomini-pianta di ficus e lui risponde: “non voglio parlare con te”; idem il secondo, idem il terzo. Mi presento allora al quarto individuo (quello quasi umano) e in quattro secondi netti lui mi dice che la chiave si trova in una stanza del piano di sopra (va detto che ci ho messo dell’ingegno per strappargli l’informazione, avendo scelto la domanda giusta da fare tra: “dove hai comprato quelle scarpe? Al circo?”, “Questa notte ho sognato un elefante viola” e “Sai qualcosa di una certa chiave?”).
Raggiungo il piano di sopra, entro nella stanza (l’unica aperta) e scopro che il suo arredamento consiste in:
– una macchia rettangolare verde e marrone sul pavimento che, con un po’ di fantasia, potrebbe essere un tappeto
– un rettangolo con sopra altri due rettangoli più piccoli che, con fantasia ancora maggiore potrei interpretare come un letto matrimoniale
– due o tre altri poligoni marroni non meglio identificati
– una cassettiera splendidamente definita, dotata di tre cassetti, uno dei quali leggermente aperto

Dove sarà mai la chiave?

Superando arditamente altri quattro o cinque enigmi dello stesso tenore, termino il gioco tre quarti d’ora dopo averlo iniziato. Soddisfatto e deluso, lo ripongo nel cassetto per non riprenderlo mai più.

Il gioco penoso acquistato in edicola per cinquemila lire è, per così dire, il grado zero delle avventure grafiche: in esso non esistono false piste, esiste solo quella giusta, che si rivela subito come tale. Nella vita reale però non succede mai così e, per questo, in un gioco senza false piste la sospensione dell’incredulità del giocatore va a farsi benedire dopo pochi minuti.

All’estremo opposto ci sono i giochi di ruolo cosiddetti “open world” che vanno per la maggiore oggi (Skyrim, Assassins Creed, lo stesso Minecraft), nei quali il giocatore può far fare al proprio personaggio praticamente tutto ciò che vuole: questi ultimi sono giochi infiniti, illimitati, che si autoalimentano sulla base di algoritmi complessissimi e del contributo dato da milioni di giocatori sparsi per il mondo, tutti compresenti online nell’universo in cui il gioco è ambientato.
Se il gioco dozzinale dell’edicola era così limitato da non assomigliare, nemmeno per un istante, alla vita vera, i giochi open world sono al contrario potenzialmente illimitati e per questo pressoché identici alla vita vera.

Grim Fandango si muove invece, con grazia, intelligenza e fantasia, in un territorio che si trova a metà tra questi due estremi: il territorio della fiction.

BONUS TRACK (FINE)

ALTRI CONSIGLI SU GIOCO E NARRAZIONE

QUATTRO GIOCHI DA TAVOLO

Dixit
Se conoscete questo gioco non occorre che vi spieghi quale atmosfera splendidamente empatica e creativa esso sappia generare. Se non lo conoscete non c’è alcuna possibilità che io riesca con le parole a rendere l’idea del suo fascino. Quindi, semplicemente, acquistatelo.

C’era una volta
Immaginatevi una gara di narrazione condotta con carte molto simili a quelle di Propp e nella quale ogni giocatore deve cercare di condurre la storia verso il finale che la sorte gli ha fatto pescare.

c'era una volta

Plagio
Un gioco geniale, che appena posso propongo sia ad adulti che a ragazzi durante i miei corsi di scrittura creativa. Un gioco che ci obbliga a travestirci da grandi scrittori e ci fa scoprire una verità entusiasmante e spaventosa: finché si rimane entro il limite di poche righe, il travestimento riesce.
plagio

On stage
Anche in questo gioco, come in C’era una volta, dobbiamo cercare di condurre la storia verso un determinato finale, imponendoci sugli altri giocatori. Solo che in questo caso il nostro ruolo non è quello di narratori, bensì di attori. Siamo sul palco, come una compagnia teatrale che sta recitando, per esempio, l’Amleto: però potrebbe essere per esempio che a noi tocchi interpretare la parte del vecchio padre di Amleto e che non ci vada del tutto a genio l’idea di essere assassinati nel primo atto. Ebbene, in on stage possiamo provare a evitare la sorte che Shakespeare aveva pensato per noi, conducendo la recita verso un finale diverso.

on stage

UNA APP PER SMARTPHONE

il segreto di castel lupoIl segreto di Castel Lupo
Questa APP per smartphone realizzata da ragazzi italiani è un piccolo miracolo di narrazione interattiva. Gli autori sono riusciti a riprodurre intatto il fascino di un libro game cartaceo, aggiungendovi solo quel tanto che serve di multimedialità. Si ha la sensazione di leggere un romanzo per ragazzi, peraltro appassionante e scritto molto bene e non di stare giocando a un videogioco. Ma la tecnologia c’è e, lavorando con discrezione, ci aiuta a interagire con la storia sostituendosi ai faticosi (e, certo, a loro modo affascinanti) appunti presi a matita nelle ultime pagine dei libri game cartacei.

L’ho giocata con i miei figli e mi sono divertito quanto loro.

LIBRI CHE PARLANO DEL GIOCO

Il gioco di Henry, Robert Coover
Henry è un ragioniere con l’ossessione per il gioco. Ha inventato un gioco del baseball interamente basato sul lancio dei dadi, creando un sistema di combinazioni numeriche in grado di determinare qualsiasi aspetto della vita, sportiva e non, dei giocatori virtuali che ha creato. Quanto più splendente, articolato e complesso diventa il mondo fittizio che ha creato solo per sé, tanto più Henry perde il controllo della propria vita nel mondo reale. Lo stesso lettore finisce per confondere il piano della realtà con quello della fantasia di Henry. Se volete siamo dalle parti di Matrix o di Inception, ma il fatto che il mondo fittizio in questo caso sia creato in modo (almeno inizialmente) consapevole dal protagonista e dalla sua passione per il gioco, rende questo libro particolarmente affascinante e spaventoso per me e per tutti noi, appassionati giocatori, che viviamo le nostre vite rispettabili sull’orlo di quel baratro, lurido e buio, in fondo al quale Henry trascina la propria sontuosa esistenza.

la stanza profonda

La stanza profonda, Vanni Santoni
A più riprese, mentre leggevo il romanzo, mi sono domandato come diavolo avesse fatto ad essere scelto tra i dodici finalisti del premio Strega. Detto così non sembra un gran complimento, ma il mio stupore non aveva nulla a che vedere con la qualità, altissima, della scrittura, bensì con l’argomento. Vanni Santoni parla di giochi di ruolo, di giochi di carte collezionabili e non lo fa in modo divulgativo: non sembra interessato a dare ai profani un’idea approssimativa di cosa significhi percorrere un dungeon di Dungeons and Dragons o perdere la salute mentale contro un mazzo mono bianco in Magic The Gathering. Lui parla soprattutto a chi quelle esperienze le ha provate davvero. Lo fa, va detto, con una scrittura cristallina e intelligente e penso sia questo il motivo del successo che il libro ha avuto anche al di là degli “iniziati”. Leggetelo se siete giocatori appassionati o se volete sbirciare da dietro una porta socchiusa il nostro mondo buio e polveroso.

il giocatore

Il giocatore, Fedor Dostoevskij
Ogni parola è superflua. Uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi che racconta di una delle sue più profonde ossessioni: il gioco d’azzardo. Il romanzo è talmente corto che riassumerlo è inutile. Se non lo avete letto, fatelo subito e lasciatevi trascinare nel vortice che conduce inesorabilmente all’ultima frase del libro, perfetta e terribile.

Luca Lissoni

Di Luca Lissoni potete leggere anche :
Il mondo di Asher Lev