Immaginate il sordo rumore del mondo, quella serie di ronzii e note basse intervallata da qualche sibilo, che riempie l’aria: telefoni cellulari, radio, televisioni, segnali digitali di ogni tipo e frequenza. Immaginate che cosa viaggia nei cavi a fibra ottica in fondo agli oceani: dati riservati di banche ed archivi militari, pagine di giornali, immagini, suoni, formule matematiche. Parole. Miliardi di parole. Miliardi di miliardi di parole. Parole di gioia e parole di disperazione, in catene solide come pietre o fragili come ragnatele. In ogni lingua, in ogni carattere tipografico, in ogni colore.
Immaginate che esista un luogo dove questo vortice ha un centro. E che in questo centro ci sia una sorta di lungo, lunghissimo serpente di parole che si attorciglia su se stesso. Una poesia senza inizio né fine, di cui tutti sono autori e lettori.
Certo, un inizio nel tempo questo “poema cosmico” deve necessariamente averlo, e in effetti troviamo che i primi versi risalgono a poco più di due anni fa, quando Loss Pequeño Glazier e Kenneth Sherwood ebbero l’idea di una creazione letteraria a tema assolutamente libero ed aperta al contributo di ognuno. Era il momento forse più divertente di un progetto che a lungo li aveva visti impegnati, insieme ad un gruppo di ricercatori canadesi e statunitensi, nella catalogazione delle risorse Internet che trattano di poesia contemporanea. Oggi l’Electronic Poetry Center (EPC), con sede presso l’università di Buffalo, al confine tra lo stato di New York e il Canada, conta decine di migliaia di contatti ogni mese. Cosa offre? Veramente di tutto: troviamo una trentina di pagine monografiche dedicate a personaggi più o meno famosi (c’è anche John Cage, finora noto quasi esclusivamente come compositore e saggista), che presentano le loro opere, con bibliografie aggiornate e letteratura critica. Poi una biblioteca, con autori come Paul Celan, Samuel Beckett ed Emily Dickinson, dei quali potete leggere una scelta piuttosto ampia di liriche. E ancora, numerosi collegamenti con altre pubblicazioni elettroniche che si occupano di poesia, un elenco di iniziative editoriali su carta (solo americane e inglesi, purtroppo: ex libris non lo troverete), anche queste di carattere letterario, poi saggi, testi di conferenze, il giornale dell’EPC e molto altro.
Fin qui non ci sarebbe nulla di particolarmente interessante, dunque, e l’Electronic Poetry Center sarebbe un archivio come tanti, non fosse per i rimandi ad un Collaborative Poem che sbucano di quando in quando. E c’è da credere che molti curiosi un’occhiata a questo sito prima o poi finiranno per darla, sia per collaborare dawero, sia per leggere quanto hanno scritto gli altri.
Diviso per ora in otto parti, il “poema cosmico” viene aggiornato a scadenze irregolari, non pone a chi voglia parteciparvi alcun limite di lunghezza, non tiene conto della qualità del contributo né della lingua: troviamo stralci in francese, spagnolo, italiano, anche se – naturalmente – la maggior parte dei versi è in inglese.
liturature liturgy litter lit lies
Un’allitterazione, un’equazione: la letteratura è liturgia, spazzatura, luce che si è spenta, menzogna. Ancora un volta niente di nuovo, in fondo. Andiamo un po’ avanti: electronic, separated from my books / are my ghostly words / sent into the ether / humming with hope
is this the form of my future? / shall l share words with / those unknown poets / waiting at their screens? (elettroniche, lontane dai libri / ecco le mie parole spettrali / lanciate nell’etere / con un ronzio carico di speranza // è questo il volto del futuro? / Finirò per scambiare parole con / quei poeti sconosciuti / che aspettano davanti a uno schermo?)
Qui sono immediatamente evidenti alcune caratteristiche del poema: la prima è l’assenza di un supporto materiale per le parole: non c’è più carta né inchiostro, e le lettere fluttuano prive di corpo tra i fosfori del monitor. Tale limitazione, però, attiene ad ogni computer e non è certo nata con l’uso di Internet. Ecco perché KS, l’autore dei versi sopra riportati, non ne sembra particolarmente turbato: le parole, sebbene “spettrali”, sono “cariche di speranza”, dal momento che percorrono l’etere alla ricerca di qualcuno che le legga, aspettando di fronte ad uno schermo.
Naturalmente si può definire ottimistica una simile visione della poesia, e infatti giunge subito una voce di tono assai diverso: e’crire des mots / comme / e’crire des machines / comme un savon pongien un objet une / je ne sais
Parole come macchine. Oggetti inanimati. La vecchia poesia è morta, ma la nuova, quella elettronica, stenta a nascere. Potrebbe addirittura consistere, come prosegue l’autore di questi versi, nel semplice atto dell’inviare parole a qualcuno. E certo, allora è possibile che le strade di chi scrive e di chi legge non s’incrocino mai. Ma rimane la speranza che ciò possa accadere: parole crociate / strade parlate / spero qui incontrare ancora
“Strade parlate”? Questi del Collaborative Poem sono semmai sentieri in un bosco, appena visibili nel rigoglio del verde, buoni più per smarrire la via che per trovarla. Una deviazione ci porta ad esempio in prossimità di T.S. Eliot, e cosi c’imbattiamo in un “April left cruel tentacles inside my skin”, che subito riporta alla memoria la Terra desolata. Poi troviamo parafrasi da Nietzsche, bislacchi racconti di fantascienza, proclami misticheggianti, sermoni di etica per il terzo millennio e, naturalmente, una quantità enorme di versi d’amore, di valore discutibile. E c’è anche qualcosa che potrebbe essere il testo di una canzone:
I’m going down to the river / to throw myself in / I’d rather die by my hand / Than die by my sin
Eternal brown eyes / I’ll never forget / I’ll hold them by me / As they watch my sun set
I’m sorry my love if / I’ve toppled your crown / Don’t come down to the river / If you don’t want me to drown (Sto andando verso il fiume / per gettarmici dentro / preferisco uccidermi / piuttosto che morire per i miei peccati // Eterni occhi castani / non dimenticherò / saranno con me / a guardare il mio sole che tramonta // Amore mio, mi dispiace / se ho fatto cadere la tua corona / non venire al fiume / se non vuoi che mi anneghi).
Bruno Ruffilli