Viviamo nel tempo, dice Tony, il tempo ci forgia e ci contiene, eppure non ho mai avuto la sensazione di capirlo fino in fondo.

Probabilmente questa frase spiega più di qualsiasi altra considerazione il senso del libro: Il senso di una fine, appunto, ma anche di una storia, di una vita.

Il tempo è il fulcro del racconto (Time is on my side cantano i Rolling Stones); il tempo con il suo scorrere inarrestabile, eppure mai uguale, col suo bagaglio di ricordi, non sempre nitidi, a volte addirittura inventati, ricordi sbiaditi che finiscono col divenire certezze, costruite più sulle sensazioni del presente che sulla verità dei fatti. Il tempo oggettivo, il cui scorrere non può essere negato, si contrappone a quello soggettivo, relativo, che accelera e si dilata a seconda delle fasi della vita, degli eventi e delle emozioni che essi generano.

Il racconto parte dai ricordi di scuola, da tre amici con ruoli ben definiti, la testa piena di libri (più saggi che romanzi, come vuole il mood dell’epoca), animati dallo stesso spirito contestatore, senza mai uscire, però, dai confini di un’esistenza borghese, cui se ne aggiunge un quarto che, pur sembrando un corpo estraneo, finisce col diventare un catalizzatore, fuori e dentro il gruppo.

Quando il suicidio, però, appare per la seconda volta nelle vite dei ragazzi, come una scure che si abbatte sull’illusione di immortalità propria della gioventù, i tre superstiti sono costretti a confrontarsi con la questione non più su un piano squisitamente filosofico, come era accaduto al liceo, per un compagno “sfortunato”, ma ben più concreto, sensibile, traumatico, anche se le conclusioni si riducono a dicotomie: coraggio o viltà, una gran figata o uno spreco schifoso.

Pochi eventi importanti, o che si riveleranno tali nel corso del tempo (la storia con Veronica, quella tra Veronica e Adrian, il suicidio di quest’ultimo), caratterizzano il racconto. Attorno a questi ruotano personaggi, ma, soprattutto, si districano ricordi.

Il romanzo si divide in due parti: oggi e allora (dove allora è la giovinezza), anche se i confini sono labili e lo spazio e il tempo sono riempiti dai ricordi (perché, in fondo, la storia è fatta dei ricordi dei sopravvissuti) con un evento tragico a segnare uno iato tra le due epoche, ma, allo stesso tempo, a fare da fil rouge: il suicidio di Adrian.

Il racconto stesso della vita del protagonista dopo il liceo (università, primi amori, un lungo viaggio in America, lavoro, matrimonio, figlia, divorzio) funge da cornice, serve fondamentalmente a riempire, in qualche modo, il tempo e lo spazio tra il Tony di allora (il liceale) e quello di ora (il pensionato).

Tony conduce un’esistenza ordinata, ordinaria, che scorre senza guizzi, nella direzione presa e che avrebbe dovuto prendere fin dall’inizio. È il protagonista stesso a dire raramente mi ritrovavo a fantasticare su un’esistenza diversa da quella che è stata la mia.

All’improvviso, però, per uno strano scherzo del destino, il Tony sessantenne si ritrova a fare i conti con il sé stesso ventenne, con l’evento più tragico della sua vita (il suicidio dell’amico Adrian) e coi fantasmi del passato, morti (Adrian, appunto) o vivi (Veronica), finendo col rendersi conto che le cose sono andate in maniera diversa da come le ricorda, che la sua vita non è la somma di ciò che ha fatto e di ciò che è accaduto, ma la versione che ne ha raccontato nel tempo innanzitutto a sé stesso e, di conseguenza, agli altri, e che ha finito col sedimentarsi dentro di lui al punto da divenire più reale della realtà stessa, che filtri, autocensure, maturazioni, rielaborazioni, lo hanno portato a creare ricordi che poco hanno a che fare con quanto è realmente accaduto.

Il senso di una fine di Julian Barnes è il racconto sincero di un’anima messa a nudo, che anche se mente lo fa in maniera inconsapevole, finendo, come accade a molti di noi, col raccontare la propria verità, quella che si è costruita poco a poco, ricordo su ricordo, fino a diventare l’unica possibile. E più il tempo passa, meno possibilità abbiamo di essere smentiti, perché vengono meno i testimoni delle nostre azioni, ma se spunta un fantasma del passato con prove inconfutabili, che ci sbatte in faccia le nostre ipocrisie, ci mette di fronte ai noi stessi dei tempi andati, mostrandoceli per come erano realmente e non per come li abbiamo idealizzati, ci sentiamo perduti, cerchiamo rifugio in chi ci conosce a fondo e, nonostante questo, ci vuole bene (per il protagonista, l’ex moglie Margareth).

Un libro sincero perché ci mette di fronte alle nostre debolezze, nostalgie, ipocrisie, conformismi, alla superficialità con cui giudichiamo le vite degli altri senza conoscerle affatto, ai rimorsi per il dolore che abbiamo causato, in maniera più o meno consapevole, alla verità sul tempo: il passato è passato e non possiamo fare nulla per porvi rimedio.

E proprio quando pensi di aver capito tutto, ti accorgi di non aver capito niente.

Fabio Sarno