“La sposi e vivi con lei. Ma se ti azzardi a toccarla ti ammazzo.”
Sembra la battuta di un traffichino uscito direttamente da un film di Ritchie o Tarantino. E invece.
Tom Lanoye, romanziere, poeta, editorialista, sceneggiatore e autore teatrale fiammingo mette in bocca ai suoi personaggi copioni cinematografici, glieli fa masticare e ce li riconsegna in un modo così naturale che l’adattamento delle sue opere al grande schermo diventa logica conseguenza delle sue scelte narrative.
Così è per Il terzo matrimonio, edito in Italia da Nutrimenti, dal quale è stato tratto il film Troisièmes noces di David Lambert.
Le Monde lo ha definito “una verve gioiosa e sorprendente, uno stile nervoso, burlesco, tragicomico.” Un racconto in prima persona che richiama la filosofia umoristica di Woody Allen in un’Europa coeva spesso (ancora) incapace di raccogliere le sfida del cambiamento prodotta da una società multiculturale.
Così è, se vi pare.
La storia è quella che vede il suo protagonista Maarten Seebregs, arrivato al capolinea della sua esistenza perché affetto da una malattia incurabile, accettare la proposta di sposare dietro lauto compenso una giovane e bellissima congolese per farle ottenere la cittadinanza belga.
“La tua malattia è la tua carta migliore, nessuno vuole trascinarsi tra gli acciacchi tutto solo fino alla stazione terminale.” – in una lunga trattativa Vandessel, l’uomo che gli propone l’affare della vita, per convincerlo ad accettare l’offerta e salvare la povera ragazza. Sei mesi e potrà dirsi al riparo dai controlli dell’ufficio immigrazione.
“Io sono una checca. Non vi è saltato agli occhi nello spulciare il mio curriculum?” – replica Maarten, ancora incatenato al suo passato e a Gaëtan, per trent’anni suo compagno.
Ma poi accetta.
Inizia una convivenza fatta di emozioni che immaginava seppellite, di parti del corpo che credeva sopite in una specie di necrosi irreversibile. Con due funzionari dell’ufficio immigrazione prevedibilmente alle calcagna visto che il caro Maarten si era prestato altre due volte a queste unioni di convenienza, la narrazione procede senza mai stancare; tra desideri, inganni, ricordi e inediti risvolti.
Un passato familiare da figlio riesumato a mezzo di riflessioni dissacranti:
“Non c’è niente di più ingannevole del linguaggio dei gesti dell’amicizia. Tranne il linguaggio dei gesti dell’amore. Per mio padre non provavo né amicizia, né amore.”
Un vissuto affettivo da amante rievocato con il tocco leggero di un sentimento ancora pulsante:
“…dove io e Gaëtan ci siamo coricati per anni, non di rado nella posizione del cucchiaio. Era diventato un classico. Di giorno separati, di notte nella posizione del cucchiaio. Gli esseri umani sono animali abitudinari, vogliono fondersi ostinatamente l’uno nell’altro, malgrado le pancette che si arrotondano negli anni. Che cos’è un uomo? Nasce, si fa crescere la pancetta e muore.”
La voce narrante è quella del protagonista, che si esprime in un linguaggio ironico e tagliente, vero. La storia si sviluppa con immagini intercambiabili, in una sequenza narrativa che potrebbe essere scomposta senza che questo bel romanzo perda il suo brio e la sua vitalità. Ridere e riflettere, commuovere con grazia e nutrirci. Non è forse questo che chiediamo alle storie?
Angela Vecchione
E tu cosa ne pensi?