“In quel momento ancora non sapevo che la sua era una di quelle voci che si infiltrano senza chiedere il permesso nelle crepe della vita, e che, con l’ostinazione dell’acqua che riaffiora dalle pareti, tornano a farsi sentire quando si è ormai certi di averle dimenticate.”

Può accadere che dall’apparente silenzio della notte affiori qualche voce lontana. Una voce, poi tante che non si riconoscono, si avvicinano, si sovrappongono e lentamente attraverso una serie di flussi di coscienza, si impongono per farsi ascoltare.

Capita poi che a queste voci si affianchino delle ombre confuse. Un’ombra, poi tante, che come le voci non si riconoscono, immerse nella loro solitudine si incontrano e iniziano a visitare sempre più frequentemente “la camera bianca” di uno sconosciuto.

Succede quindi che quest’ultimo diventi involontariamente il testimone di una storia silenziosa e tormentata che cerca e trova le strade del mistero e dell’irrazionalità per farsi conoscere, comprendere e non disperdersi nell’oscuro oblio.

È una storia apparentemente in frantumi che dal passato, attraverso le voci e le ombre di coloro i quali l’hanno vissuta, torna e si fa presenza in un mondo che presenza non è.

Se ogni libro lascia un messaggio ai lettori curiosi, L’unica notte che abbiamo di Paolo Miorandi suggerisce, in modo poetico e intenso, di dare vita a qualcosa che il caos del mondo invece impedisce: mettersi in ascolto. Ma di cosa è necessario mettersi in ascolto? Forse delle altrui storie che a volte per caso ascoltiamo percorrendo il nostro cammino, dei nostri più reconditi pensieri che spesso tendiamo ad annullare o dei silenzi che avvolgono gli sguardi di chi è stato reso immortale grazie ad antiche fotografie. Oppure delle voci lontane che ci raggiungono per confermare la loro presenza o per chiedere perdono.

Mettersi in ascolto quindi della vita che giace nascosta e cerca riparo nella quiete del tempo ma che porta con sé il mistero di qualcosa di irrisolto. Passato e presente, memoria e dimenticanza. Poi le assenze, le ferite, il desiderio di mettere ordine tra gli uomini e le cose, i ricordi che mantengono in vita ciò che gli occhi non possono più percepire e infine le attese inconsolate e inconsolabili.

L’apertura di una vecchia valigia permette ad un’anziana signora di rivivere le esistenze dei propri familiari permeate da forti sentimenti contrastanti che ancora nonostante il tempo comunicano e tormentano. Le fotografie al suo interno conservate, hanno immortalato sguardi perduti tra il desiderio di vite lontane e accettazione di profonde ferite e presenze che aprono la via ad un mondo apparentemente andato via di cui nulla appare realmente accettato ma solo sospeso e desideroso di essere conosciuto e capito.

Voci e ombre quindi si trasformano in presenze che chiedono ascolto e a loro volta danno la possibilità a chi è rimasto di fare i conti con la propria coscienza, di curare antiche ferite ancora sanguinanti, di consolare pianti e confortare inquietudini e di aggiungere infine nuove tessere al mosaico della propria famiglia.

Quasi come fossero i protagonisti di un’altra “Spoon River” dalla loro stessa voce veniamo a conoscenza non solo di ferite ma anche di luoghi sospesi nel tempo: la casa invisibile, il paese abbandonato dai vivi, il lago, la casa delle anime inquiete, la via dei campi. Luoghi questi che hanno custodito una storia inizialmente confusa e a tratti incerta ma ordinata dai ricordi dell’anziana signora, ultimo anello di una lunga catena a volte spezzata, a volte annodata. Luoghi che per quanto svuotati da vive presenze rimangono custodi di emozioni senza tempo capaci di rievocare con grande trasporto ciò che non è passato.

Lasciarsi trasportare dalle pagine di questo testo diventa quasi come un invito a vivere in maniera profonda e poetica qualcosa che riguarda anche la storia di noi tutti, di tornare indietro e riallacciare i fili che si sono drammaticamente spezzati per accettare il presente, capirlo e prendercene cura.

Accettiamo senza nessuna incertezza questo invito e apriamo anche noi la finestra della nostra “camera bianca”.

Mettiamoci in ascolto…

Miriam Guzzi

Exòrma edizioni si raccontano a Marco Grasso su exlibris20