Nel proporre le sillogi poetiche di tre voci maschili diverse tra loro per tono, per orizzonte di ricerca e per scelte stilistiche, ho voluto aggiungere la discriminante della diversa provenienza territoriale.

Pietrobelli, Bray e D’Angelo, da nord verso sud, sono per mio sentire esempi ben radicati nelle loro diverse territorialità. Il primo, nato nel vicentino e vissuto nelle Venezie per poi “emigrare” a Parigi, corrisponde all’elemento “aria”,  alla rarefazione della parola e ai colori tenui, alla natura rigogliosa e indecisa del dove la crosta terrestre sembra più vicina al cielo.

Bray mette corpo nella sua poesia di elemento “terra”. È fisico questo scrivere fatto di accoglienze, si muove tra Adriatico e Tirreno nel centro della penisola e guarda fuori dalle nostre coste verso altre coste sporte sugli oceani, verso i territori dei pastori erranti e dei navigatori che circumnavigarono i globi.

D’Angelo, in un Sud intenso di “fuoco” e colore, si rivolge al mito e alle eredità culturali che fondarono le nostre civiltà, accogliendo la Magna Grecia e ogni “invasore” nel suo sapere, nella sua indagine filologica e filosofica. L’indagare muove per Pietrobelli dall’anima, per Bray dal corpo, e per D’Angelo dalla mente, nel suo estendersi poi e riunire le dimensioni. Poetiche diverse quindi e personalità diverse per un linguaggio di carattere; le sillogi prese in esame sono:

Stretto di Veglia per Federico Pietrobelli, edizione Caosfera sotto la curatela di Adriana Gloria Marigo.

Hai un cane? Portalo, abbiamo soluzioni anche per lui per Luigi Bray, edizione VIE Vittoria Iguazu Editora, prefato da Roberto Francavilla.

Trilogia delle ore per Emiliano d’Angelo, Puntoacapo edizioni, curato da Emanuele Spano.

Tutte e tre sono state pubblicate nel 2017.


Federico Pietrobelli

(p. 21)

Di silenzio è creato il mondo
stanotte. Nulla non è cella.

L’aria che respiro è l’aria
per tutto l’universo. E passa

come il dito della stella, indica
il tuo volto che mi indica il suo.

Una pietra fa una città
Una pietra sfa una montagna.

Di silenzio è creata questa notte
oltre il battito del mondo.

* * *

(p. 33)

In quanto madre ci tocca l’ombra.
Sui figli a galla spalanca
fauci di balena e mostra
plancton contro il palato, neon contro buio.

In quanto sorella ci tocca la stella
battuta, cadente, la moneta trascendente
gettata dall’economo che resta
in fondo al doppiofondo dello scrigno latteo.

Lui getta a caso gettando il mondo al caso.
Lui ti getta a caso gettando al mondo il caso.
Lui ti getta al mondo, lui ti getta a caso,
e tu gridi all’oscuro – ma oscuro è il tuo grido.

* * *

(p. 50)

Ormesini

Oggi il meteo dice no ai tramonti.
Scoveremo le stelle
su qualche atlante, col tuo dito
traccerai la sola via
che non so ora né mai
forse e credo mai
tu nemmeno

Ma sarà notte, notte comunque –
E noi insieme insieme e soli.

* * *

(p. 67)

 In Limine

L’uomo sta di fronte la morte.
Nulla gli è arcano, nulla gli è dolore.

Lui alza la mano e stringe il cielo
nel pugno del lamento. L’uomo

cammina nella steppa, nel silenzio, a lungo,
e non sa timore  – ma erba, ma terra, e orizzonte.

E in ogni pietra ascolta l’eco del vento,
e in ogni senso trova aperto, cammino.

L’uomo giura cielo e morte
a vita.

* * *

 

Federico Pietrobelli confonde le dimensioni, avvicina le sfere celesti a quelle terrene facendo gioco di rimbalzo grazie a ritmi ossessivi, ripetizioni, frasi a specchio, smottamenti e sovvertimenti lessicali, anagrammi e anafore. La fine e l’inizio, l’ora e il dopo sono intrecciati finemente e l’io psicanalitico emerge con il suo Es, per farsi mondo e cercare l’eternità.

 

Luigi Bray

 (p. 13)

Rimango ostaggio
di emigrati pensieri.
Cammino o viaggio,
nostalgia o negazione.
Indaco, vaporoso,
anima ribelle,
inquieto angelo.
Ghirigori di trasformazione,
abbozzano una maschera di vita.

* * *

(p. 17)

Nel buio
che risuona dentro
quando non vedi frammenti
che richiamano al barlume,
dentro quel silenzio del tuo io,  dove non trovi l’umano

quando anche il vento
non scompagina le tue lune
è lì che forse riesci a intravedere
la donna e l’uomo dei tuoi dubbi.

* * *

(p. 42)

Siamo discendenti del vento
ci desideriamo dentro giardini arabi;
dove nascosti emettiamo bisbigli d’amore.
Alberi da frutto
spolverano di profumo i sensi.

Sono non consueti i sentieri
dove ci inseguiamo, ci cerchiamo
senza pace.
È un ritorno alla terra
Il nostro,
in quelle zolle la nostra trasformazione,
forza atavica.
Ritorni.

* * *

(p. 45)

Le distanze ci rendono indifesi.
Ragnatele distratte per fumose membra.
Il messaggio è destinato solo ad una mia ossessione.

Tu.
Sarà pur vero che non è un altro vivere la vita?
Convinti di essere sempreverdi;
viviamo il tempo di una foglia.
Masticando santi; svioliniamo i giorni
di oggi e domani,
per una vita detestabile.
Ma di noi rimarranno solo 4 giga di RAM,
persi nell’etere.
Nell’attesa di una vostra gentile risposta.
Distinti saluti.

* * *

 

Luigi Bray usa una prosodia frammentata, una visione metaforica a tratti ma prevalentemente concreta. Rimane una poesia percorsa dai sentimenti, che si interroga sul vissuto e sull’amore, più minacciato dalla sua ombra virtuale che dalla morte. La dimensione è il qui e ora corporeo, il viaggio in carne e ossa dell’individuo sulle strade del mondo.


Emiliano D’Angelo

 (p. 11)

Sei una Grecia più greca e più remota
terra di paesi issati in cielo come lance.
Le tue falesie sono un chiostro di titani
che argina insieme il Tempo
e l’urto argenteo delle onde.

La luce tua – aspide in agguato –
frange il calcare in vapori di vertigine.

E penso alle tue donne
di bistro, argilla viva,
di fuliggine.

La brace antica che crepita in quegli occhi
modula ancora un canto muto di ianare.

A piedi nudi
attraversano il mio sogno. 

* * *

(p. 27)

Le ancelle del sole
(scene da Hanging Rock)

Peste di luce che avvolgi il mio sentiero
è tua la febbre che scuote il mezzogiorno:
irradia brividi di sonno australe
oro-cobalto,
stordisce il rettile e l’acacia
il dingo e la libellula.

Andammo a piedi nudi fino in cima:
senza sforzo.
come trasportate dal vento,
per fare dono e scempio di noi stesse.

Nella gran furia di aprile
ci aprimmo un varco oltre la quiete
misteriosa, magnifica del monte.

Io diventai roccia e poi libellula
e poi nuvola  e poi nulla,
oro-cobalto
zenith
infinitesima particola di azzurro.

Che fu di noi,
di quelle che eravamo state a valle?
Nient’altro che musica e stupore.
E uno stridore, lontanissimo, di insetti.

* * *

(p. 46)

In nomine Patris

Sei tu che manchi
al rintocco delle dieci.
Al singulto di ogni voce
Sei sempre tu che manchi.

Sei tu che manchi –
che eri l’algebra e la croce
il pozzo e il pendolo
la brace
dove ora le mie dita
si scottano d’assenza

* * *

(p. 53)

L’ora blu

È l’ora blu:
un catino di spavento
arcuato tra fine e un non-inizio
prima che il buio dilaghi
cominci a scaturire.

È l’ora disgiunta,
il grande iato del cosmo:
fiamma obliqua di ozono e di silenzio
che attanaglia il rosso del tramonto.

Ho fili bianchi tra i capelli,
abbiamo indaco nel cuore

(il mattino ci aveva reso ubriachi,
stillando veleno dalla sua dolcezza)

Tienimi stretto,
carne nella carne,
come fossi l’ultima cosa nata.

Tienimi stretto,
congiunto alla tua ora,
mentre danzano i morti
e si schiudono artigli oltre la siepe.

Io temo solo ciò che è vivo,
amo solo ciò che è vivo.

* * *

 

Il verseggiare di Emiliano D’Angelo è denso di rimandi alla tradizione letteraria tutta. La dicotomia buio-luce, vita-morte è una partita su scacchiere dove il competitore dell’uomo è il tempo. Per questo tutto si scandisce nel passare delle ore, tra albe e tramonti, dove il sole della civiltà è per larga parte offuscato dalle pulsioni dell’uomo.

Da poeta donna mi è piaciuto affrontare questo viaggio da nord a sud nella parola dei tre poeti, in quello che dovrebbe essere il lato yang della versificazione: si dimostra questo essere in realtà un territorio dove la radice yin non è mai trascurabile.

Pietrobelli spirituale, Bray empatico, D’Angelo di passionaria intellettualità. Tutti e tre hanno  – a mio avviso – trovato una buona sintesi tra la loro personale intenzione poetica e la forma del verso. Invito quindi il lettore appassionato di poesia ad avventurarsi sui loro sentieri; non ne rimarrà deluso.

Anna Bertini

 

Anna Bertini ha scritto molti pezzi su exlibris20 e li trovate qui.
Sulla poesia abbiamo pubblicato anche una nota su cosa significhi “poesia” oggi, a cura di Ivano Mugnaini.