Tutto quello che le donne non scrivono, Goliarda Sapienza lo scrisse. Quasi un anno fa, sempre dentro una cascante sera estiva (ed è simbolico perché lei proprio una desolante sera estiva morì, il 30 agosto), ho scritto una lettera a Goliarda Sapienza, si intitola L’odore dei limoni. Lei per me è aspra, avvolgente, dissetante e dissacrante come l’odore dei limoni specie di quelli buoni anche se in apparenza non sono ancora maturi. Non matureranno mai, non avranno l’aspetto giallo e teso del limone comune: resteranno limoni in apparenza diversi e, per chi si fida, più saporiti.

No, non sono una donna che si guadagna la vita, sono una donna che guarda dalla finestra e ha una camera per se stessa. Vi ripugna? Sono libera e questa libertà la voglio far fruttare.

Quello che mi ispira di questa donna, nata a Catania nel 1924 e morta a Gaeta nel 1996, che fu scrittrice, attrice di teatro e di cinema, poetessa. Per se stessa. Dovete immaginare, se non l’avete mai letta o senza approfondirla, una donna che non basta a se stessa. Che fuoriesce talmente da sé e dalle cornici piccolo borghesi (e neo fasciste) da avere la consistenza della lava di un vulcano in continua evoluzione. Un vulcano che si spegne solo per ricaricare la materia di cui si compone e riemergere in forma di lava, mai uguale a se stessa. Goliarda ha avuto più vite dei gatti e per viverla ha lottato. Una lotta che non ha a che fare con una militanza di regime. Non solo. Lei ha lottato per diventare se stessa.

Per farlo è passata dalla povertà, dalla derisione, dalla mondanità (sempre in versione low profile, essendo una donna ferrosa  e schiva), dalla lascivia, dall’invidia e dalla incomprensione. Ma mai nella vita, almeno da quanto si legge, ha desiderato muovere nessuno a compassione.

Purtroppo, è stata una scrittrice dimenticata (“Una delle tappe d’obbligo che la vita ci impone: quella di essere abbandonati o abbandonare”, karma che lei stessa ha coniato e scontato) almeno fino alla pubblicazione nel 2005 de L’arte della gioia (in Francia e in Germania) dopo la quale c’è stata la pubblicazione italiana, nel 2008, purtroppo per lei postuma. Conoscere la protagonista del suo romanzo più noto, Modesta, equivale a conoscere almeno una parte di sé. Quella che si seppellisce con tutta la testa dentro la sabbia. La vergogna, la cattiveria, la solitudine, l’ipocrisia, la viltà. L’arte della gioia contiene tutte queste splendide debolezze umane e le esalta. E questo, se si scrive, deve ispirarci. Sempre. Non donne di crinoline le sue ma di rovine.

In un lampo capii che cosa era quello che chiamano destino: una volontà inconsapevole di continuare quella che per anni ci hanno insinuato, imposto, ripetuto essere la sola giusta strada da seguire.

Ciò che Goliarda con la sua vita, letta attraverso la sua opera, può insegnare è che la libertà non è assenza di legami ma di vincoli. E c’è una splendida differenza. Perché i legami sono l’essenza degli esseri umani, perfino di alcuni animali, sono la possibilità di vivere altre vite dentro quelle di chi si ama (e che cos’è la scrittura se non questo?); i vincoli sono tappabuchi: ostruzioni sociali. Leggere Goliarda è appianare la fame e la sete. Leggere Goliarda è non essere schiavi dei bisogni ma artefici dei propri desideri. Questo mi ispira l’arte della Sapienza e non esagero, e mi sento libera, se dico che ogni persona che scrive per qualcun altro lo fa anche per trasferire una conoscenza, la conoscenza che da anni trasmetto è questa lava incandescente e vitale che risponde al nome di Goliarda Sapienza.

Da dove cominciare
Se non avete letto L’arte della gioia, cominciate da lì. Altrimenti molto curata e intensa è la raccolta di scritti biografici La mia parte di gioia entrambi pubblicati con Einaudi.

Per approfondire
Il suo essere così isolata non concede grandi slanci verso approfondimenti. Certamente tutta la bibliografia che la riguarda, pubblicata praticamente per intero dopo la sua morte, è una buona fonte di nutrimento. E poi c’è questa piccola scheggia di vita vera di Goliarda, un’intervista a cura di Enzo Biagi che consiglio di ascoltare. Eccola.

Una curiosità
Sulla sua lapide, a Gaeta, c’è una sua poesia, un testamento, un’eruzione vulcanica:

Non sapevo che il buio
non è nero
che il giorno
non è bianco
che la luce
acceca
e il fermarsi è correre
ancora
di più.

Alessandra Minervini

 

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