
Numero 16 | Gennaio-Febbraio 1999
Cuneo 29 settembre 1998
Non sarà una tiratura limitata [si parla di HO UCCISO PARANOIA+ SPORE], non sarà una cosa preziosa che dopo un po’ scompare, ma sarà un doppio CD: ci sarà sia una versione standard che un altro CD che raggruppa tutta una serie di improvvisazioni che noi abbiamo scelto, è un mosaico di improvvisazioni, ed è nell’ottica del frammento non della dilatazione.
La Vampa delle Impressioni [primo esempio di queste “improvvisazioni”, pubblicato nel miniCD COME DI SDEGNO, n.d.i.] sono dell’idea che sia un pezzo estremamente impegnativo, poi, in quanto improvvisazione, ha i suoi pregi e i suoi difetti: quando un’improvvisazione, almeno dal nostro punto di vista è bella, ha dentro di sé tutta una serie di momenti estremamente intensi e spirituali, quelli nei quali il gruppo suona grazie ad una forma di intesa magica, una sorta di sinergia quasi, il prodotto è il risultato. E in questi trenta minuti ce ne sono di momenti di questo tipo, poi dal mio punto di vista il finale, che mi pare si sviluppi per 8-10 minuti circa è veramente sorprendente, perché ha delle suggestioni filmiche quasi: sarebbe molto bello come colonna sonora. È chiaro che però bisogna arrivarci, a quei minuti finali, mentre ho l’impressione che faccia fatica a decollare.
L’inizio è…
È un po’ faticoso, però poi dopo si sviluppa in modo tale che per noi era sufficiente per decidere di inserirlo.
Comunque con quell’altro disco c’è tutta una serie di momenti scelti ben precisi, penso che non si arriverà mai oltre i 4 minuti per ciascuna traccia.
Che differenza c’è tra l’esibizione live e la musica che si fa in studio [le SPORE sono una serie di improvvisazioni registrate in studio in un lungo arco di tempo, n.d.i.]?
Beh, ogni concerto è irripetibile, perché… puoi suonare i pezzi milioni di volte, a distanza di anni, però non penso che ci sia mai una versione uguale all’altra. Da un punto di vista fisico fare le tournée, soprattutto come le facciamo noi, cioè con una certa frequenza da quando partono a quando finiscono, è estremamente faticoso per il fisico, però per me è una condizione assolutamente essenziale del fare musica, non riesco a concepire il rock senza l’esibizione live. L’esperienza in studio e l’esperienza dal vivo mi piacciono in egual misura, anche se forse devo dire che il concerto mi dà una marcia in più, un qualcosa in più. E poi sono due approcci estremamente differenti, perché la musica in studio è ragionata, giustamente … Noi adesso abbiamo scoperto di voler anche fare musica improvvisata e di renderla manifesta a chi ci ascolta, però in realtà un disco ufficiale non riesco a concepirlo se non ragionato, se non materiale di prima scelta. Poi il principio più importante è chiaramente il tuo gusto personale. Dici questo è ok questo non è ok. Però è una meditazione, mentre invece dal vivo è istintualità, però è un’istintualità che non è esattamente e unicamente animale, se no mi piacerebbe di meno. È comunque una performance di cose che tu hai fatto e hai ragionato prima, poi dal vivo le porti in un’altra versione che, ripeto, è tutte le volte differente perché in realtà è eseguita da quattro persone che possono avere umori differenti nelle diverse serate. Ho parlato per me, ma nessuno dei quattro Marlene ti direbbe qualcosa di diverso, fondamentalmente. Per tutti noi il live è divertentissimo ed essenziale.
Senti, per parlare ancora della Vampa delle Impressioni, ti va di spiegare una volta per tutte com’è nato questo pezzo così particolare?
È successo che questa improvvisazione, la parte musicale, risale, se non sbaglio al settembre scorso, quindi c’è un anno d’intervallo, poi come tutte le altre improvvisazioni in realtà è successo che non l’abbiamo riascoltata subito dopo: l’abbiamo registrata e stop. Abbiamo ore e ore di materiale di questo tipo, ed è successo che tutta una serie di materiali così furono recapitati al Consorzio. Avevamo detto a Gianni Maroccolo di ascoltarli, e a lui erano piaciuti molto ed erano rimasti lì a Firenze… Mi ricordo che lui mi aveva detto di provare, se mi andava, a pensare di scrivere un qualcosa che poi sarebbe andato a sovrapporsi alla musica, senza però riascoltarla, cercando di ricordarmi… e io sotto questo consiglio ho fatto questa cosa, però poi mi sono accorto che quello che ho scritto non aveva nulla a che fare con quella musica, perché la musica aveva una sua scansione, chiaramente, metrica, e quelle parole ne avevano esattamente un’altra. Quello che avevo scritto però mi piaceva, e allora con un po’ di titubanza, sono arrivato a pensare che forse si poteva fare quello che ho fatto poi chiudere il disco con un recitato. In ogni caso ho preso questa decisione di farlo, cercando di utilizzare un tono sufficientemente glaciale e neutro, per non sbilanciarmi troppo. E questo è stato.
I tuoi testi sono spesso criptici, estremamente cerebrali.
Dunque, io non faccio nulla per essere complicato e per dare alla gente l’impressione che sto facendo il furbo, anche perché ritengo che se così fosse la gente non mi avrebbe dimostrato di apprezzare quello che faccio. Insomma io non penso di applicare un qualche gusto estetico codificato particolare, cerco di essere molto me, stesso e ho avuto la fortuna di potermici dedicare a questa cosa, essendo la musica diventata la mia professione, o quello che mi permette di potermi dedicare a lei unicamente, a lei e alla parte testuale. Sono stato [fuori passa un tipo con la giacca uguale alla sua: risate mie e sue insieme] sono stato dietro alla mie cose, ho potuto svilupparle e siccome sono molto esigente con me stesso, non mi accontento mai del la parola o della figurazione, o del giro di parole o della frase eccessivamente banale da diversi punti di vista: banale perché comunica delle immagini banali, comunica dei messaggi, tra virgolette, molto banali, o perché le parole anche dal punto di vista eufonico sono piazzate male. Nel corso degli anni ritengo di aver lavorato bene per la definizione di un mio stile personale. li fatto che poi le cose che scrivo risultino un po’, come forse hai detto tu, ‘cervellotiche’, ripeto, non è intenzionale, ma ritengo che possa essere caso mai una necessaria conseguenza del fatto che scrivo canzoni e non scrivo un romanzo. Le canzoni dal mio punto di vista devono comunicare delle sensazioni ben precise, devono essere un accumularsi di figurazioni, di immagini, di suggestioni. Di norma, quando mi viene in testa l’oggetto di cui tratterò nella canzone, mi rendo sempre conto che ha bisogno di una trattazione diffusa, ci sono parecchi spunti che mi suggerisce questo oggetto di trattazione e però il testo va ridimensionato nella sua lunghezza, sottosta a delle regole ben precise che sono quelle della parte ritmica musicale e poi chiaramente non si possono estendere più della canzone, dal momento che la canzone per i Marlene è costruita sempre prima dal punto di vista musicale e poi dopo seguono i testi: dunque c’è una sorta di griglia entro la quale le parole devono stare. Nello stesso tempo, c’è questa oggettiva difficoltà di far entrare dentro tutti i concetti che secondo me sono necessari o tutte le figurazioni che sono necessarie per definire quell’oggetto di narrazione.
Forse avere un limite di spazio può far sì che il cervello metta più a fuoco.
In realtà poi questa questione della lunghezza potrebbe non essere un argomento oggettivamente valido, forse non sempre, perché ci sono poesie efficacissime che durano l’arco di tre righe… però quando io trovo l’oggetto, questo si allarga nella mia testa, evidentemente non ho il dono di sintesi, forse, e lo verifico anche nel mio modo di scrivere altre cose, che non sono i testi, ho sempre la tendenza a… insomma il contrario della sintesi.
Dici che scrivi anche altre cose, quindi c’è una bella differenza tra lo scrivere i pezzi che vanno su una musica e qualcos’altro…
Sì, non vorrei farti venire alla mente che scrivo altre cose perché in realtà è proprio vero che io non ho l’abitudine a scrivere altro, anche se prima o poi la prenderò questa abitudine. Fino ad ora non ho mai scritto altro per un forma di paura strana, una forma di indolenza, forse, pigrizia, paura di affrontare la pagina bianca, e allora ho deciso che mi attrezzerò con un computer, così evito questo problema.
Avevo sentito che tu parlavi di Nabokov.
Sì.
Dicevi che è uno dei tuoi autori preferiti: c’è in circolazione in Italia un’edizione delle sue lezioni di letteratura.
Tu ce l’hai?
Sì.
Ah…
All’inizio del corso che teneva all’università, Nabokov faceva compilare un biglietto (che poi ritirava), ai ragazzi, con una motivazione, due, dieci, non so, del perché si erano iscritti a quel corso, e la risposta che più gli piacque pare fosse stata quella di uno studente che aveva detto che il perché era che gli piacevano le storie. E a proposito di storie io ho risentito Catartica poco tempo fa e la cosa che più mi è rimasta impressa è Trasudamerica. Stavo leggendo allora un libro di Cormac MacCarthy, Cavalli Selvaggi, non so se lo conosci.
Solo di nome.
Ed è una storia ambientata sul confine tra Messico e Stati Uniti del sud.
Come Trasudamerica.
Esattamente, ed è stata una felice combinazione, leggere quel libro e riascoltare quel pezzo proprio nello stesso momento. Mi sembrava di entrare in un’unica storia, e mi sono chiesta se questa canzone fosse nata da un viaggio, da un’allucinazione o cos’altro… È un pezzo strano, non ben inquadrabile…
No, è pura invenzione: è abbastanza piacevole, è molto piacevole no, non abbastanza, che tu abbia notato questa cosa perché penso che sia l’unico testo di pura invenzione che io ho fatto, che dire: è vero. È l’unica canzone di pura invenzione. Purtroppo non è semplice ottenere questo tipo di risultato facendo delle canzoni. La letteratura dovrebbe essere, uno dei principi per cui la letteratura è affascinante dovrebbe proprio essere quello che crea, crea una storia, un nuovo mondo, molto più del lanciare dei messaggi di importanza pseudo-politica sociale che sono sempre imposture in un certo senso, perché non è lo scopo della letteratura quello, quello è piuttosto il mestiere degli opinionisti, tuttologi etc. etc.
L’ostentazione di grandi temi, delle ‘grandi idee’, perché Nabokov le chiamava così, è tutto superfluo, è inutile, cioè non è letteratura: la letteratura è l’invenzione. Questo non penso si abbia in egual modo nell’ambito della poesia. La poesia non è esattamente invenzione, c’è chi dice che la poesia sia il tentativo di esprimere l’inesprimibile, fra l’altro c’è un titolo bellissimo di un gruppo nuovo americano, Blonde Red Head, li conosci?
No.
Il titolo è In un’espressione dell’inesprimibile, non so se la traduzione sia proprio esatta, che è esattamente quello che dovrebbe tentare di essere la poesia, penso, e cioè più un susseguirsi di suggestioni, che non devono essere inventate, necessariamente, no? La poesia è più un mettere in mostra se stessi tramite delle emozioni o un vedere delle cose… lo penso spesso che la poesia in realtà sia sempre un attimo còlto, un’istantanea che tu descrivi come tu riesci meglio a interpretare. Però ecco, con Trasudamerica sono riuscito a fare questa cosa. Di inventare del tutto, dal niente.
MacCarthy, dicevi?
Sì, lui ha, secondo me, questa dimensione… del mito: sì insomma, secondo me la mitologia moderna esiste, ed è quella di autori come MacCarthy. Una domanda che è doveroso farti: gli autori come Fenoglio, Pavese, sì insomma gli autori dei nostri posti.
Non sono assolutamente attrezzato per risponderti. A scuola poi, delle sole cose che mi hanno fatto leggere ricordo La Tempesta di Shakespeare, che ho riletto, ho finito una settimana fa. Ricordo Se questo è un uomo di Primo Levi, ricordo una lettura di Padre padrone, era un libro di un sardo, una lettura fatta in classe dalla professoressa.
Queste sono le tre cose che mi vengono in mente… non sono attrezzato per risponderti su questa domanda qua perché non ho ancora letto. Sono particolarmente affascinato da Pavese, meno da Fenoglio.
Fenoglio era strano, perché come personaggio sembra essere stato il tipo meno interessante che sia mai esistito, visse sempre ad Alba, occupandosi di vino, credo. Però poi ha scritto delle cose veramente pazzesche. Calvino lo apprezzava molto.
Ma io sulle letture italiane sono veramente per ora sprovveduto, anche di Calvino ho letto solo una cosina da giovane e ora non ricordo. L’unico ecco, c’è un autore italiano che ho scoperto da poco ed è sorprendente ed è Gadda. Ti toglie il respiro.
Io non ho ancora avuto il coraggio di affrontare Gadda.
E, ci vuole coraggio, però non è che i temi siano mai oscuri, cioè non è che non lo capisci… è che iniziare una frase, una riga, e arrivare alla fine della riga è dura, perché è impegnativo proprio. Parole inventate, probabilmente, cioè radici magari di un certo tipo e poi suffissi o infissi diversi… È pura estetica, in Gadda, no?, come in Nabokov, ed è questo che mi affascina.
Tornando alla musica Manuel degli Afterhours parlava se non sbaglio di grande confusione musicale […].
Mah, grande confusione musicale… noi immaginiamo la scena italiana, il nuovo rock italiano: se si allude alla confusione del nuovo rock italiano, io non penso nulla perché non me ne frega nulla, cioè io sono attratto dalle cose belle. C’è un progetto musicale bello, quello che succede intorno, cioè se questo gruppo è inserito nella scena milanese, non me ne può fregare di meno. Quindi questo tipo di confusione non mi allarma e non me ne frega nulla, perché non credo ai movimenti e quindi non è assolutamente determinante. lo ti dico quello che mi piace, quello che mi ricordo adesso. Ci sono delle cose degli Afterhours che mi piacciono molto, mi piacciono gli UZEDA, mi piace Paolo Conte, mi piace De André, anche se di De André non ascolto e conòsco molto, però soprattutto il lavoro che fa sui testi, sulle parole… è di qualità, molto superiore alla media. Uhm… Non mi è mai piaciuto Battiato. Fra i gruppi nuovi, sono curioso di ascoltare un disco nuovo che è uscito adesso dei BRUTOPOP che sono un gruppo romano che aveva suonato con noi tipo 6/7 anni fa, mi erano piaciuti un casino. So che hanno fatto un disco di cui si parla piuttosto bene adesso. Queste domande sono sempre impegnative perché dimentichi sempre qualcuno… Mi piace qualcosa dei MASSIMOVOLUME,soprattutto musicalmente mi piacciono molto… Poi cos’altro?… Ah, ci sono gli HERE, questo progetto nuovo del Consorzio. Notevole.
Chi sono, di dove sono questi?
Sono un progetto strano, perché fa capo a Theo Teardo che è il tipo del Mitted, di Pordenone, che però ha tirato su questo progetto insieme a un tale Jim, non ricordo il cognome [Coleman, n.d.i.], ex componente di un gruppo newyorkese che si chiamava COP SHOOT COP. Ci sono alcuni musicisti che gli girano intorno, fra l’altro nel disco ci sono due pezzi cantati da Lydia Lunch che, penso tu magari la conosci, un personaggino niente male, che è una bella collaborazione, invidiabile come cosa, anche se l’invidia è un sentimento sciocco, però… tra virgolette, invidiabile.
Il cinema ti piace?
Sì, molto.
Andare al cinema?
No, ma andare al cinema non è una mia abitudine, a me sta benissimo vederlo anche in casa. È chiaro che il cinema dà qualche suggestione in più, però io sono piuttosto irrequieto, per cui stare seduto per due ore di fila per me è sempre impegnativo. Per cui a casa è sempre meglio: hai una visione un po’ più ristretta, un po’ più limitata però se vuoi apprezzare un film lo apprezzi in ogni caso.
Cos’hai visto di recente?
Guarda, ho scoperto l’altro ieri un regista del quale adesso devo assolutamente vedere tutto che si chiama Hal Hartley, ha fatto ‘Uomini semplici‘. Mi piace Kubrick, mi piace Scorsese…
Intervista a cura di Barbara Basso
«Eri malata?
Oh Ape Regina, divìna e dorata
perdono, io, ti chiederei… ma
non ci sei più?
Ma in questa stanza si urla
e un tonfo scuce la pelle
glaciale un brivido sale dal basso
scompaio
non ci son più. Non ci sei più.
Non ci son più. Non ci sei più.
Non ci sei più.»
Discografia dei Marlene Kuntz (album in studio)
1994 – Catartica
1996 – Il vile
1999 – Ho ucciso paranoia
2000 – Che cosa vedi
2003 – Senza peso
2005 – Bianco sporco
2007 – Uno
2010 – Ricoveri virtuali e sexy solitudini
2013 – Nella tua luce
2016 – Lunga attesa
E tu cosa ne pensi?