Entracque, 8 gennaio 1999

Dimmi come ti senti dopo il concerto.

Stanco. Infatti ci siamo accasciati rovinosamente per terra: stiamo bene però!

Comunque siete stati grandi: una conferma.

Uhm… bella storia, ci piace qua.

Vi piace suonare al nord, è diverso?

Ma noi al 90% suoniamo al nord, comunque.

Ah sì? Come i gruppi di qua, insomma.

Sì, e dobbiamo fare un sacco di km in più: oggi ce ne siamo fatti 900.

Però avete un pulmino fichissimo.

Noo, ma lo noleggiamo ogni settimana, perché praticamente facciamo 3/4 date alla settimana, ormai da un po’ di tempo.

Pensavo di vedervi col Volkswagen scalcagnato.

Invece ci siamo attrezzati: no, altrimenti sarebbe impossibile, con tutti i km che facciamo. Avere un furgone di proprietà (a parte che non ce lo possiamo permettere), ma poi proprio come spese ti costa tanto, invece questo te lo danno sempre più o meno nuovo. Se si scassa lo riparano loro.

Cosa fate nella vita, a parte suonare?

Solo suonare. Del resto poi, dipende dalle esigenze che uno ha: nel momento in cui ti paghi la casa, mangi, compri dischi…

Quanti anni hai?

26.

Sembri più giovane (questo che ha parlato è Lorenzo, l’autore dei disegni di questo n° 16 di Ex libris).

Ti va di raccontare la storia di Lu cardillo?

Lu cardillo è una canzone anonima, del ‘700 probabilmente, e racconta della storia di quest’uomo che alleva un uccellino, un cardellino, e trasferisce su di lui il suo bisogno di comunicare a una donna, la donna che ama, il suo sentimento. Fondamentalmente è questo: è una canzone d’amore.

E una canzone che hai scritto tu?

Ma, là è diverso, ovvio. lo ho in mente certi concetti, e, poi piano piano li espando. Ad esempio in Il canto di Lu dico fondamentalmente: fermatevi a guardare le cose in maniera più rilassata, cercate di analizzare un fotogramma più volte. Questo è… rallentare. È lo stesso processo che sta alla base della comprensione: vedere e capire non sono la stessa cosa. Guarda più a fondo: butta l’occhio su quel manifesto rosso lì di fronte: prima capisci che è un manifesto, poi riesci a vederlo nella sua interezza.

Andando in profondità…

Sì, ma non nel senso intellettuale di profondità: è di coscienza che parlo, capisci, E coscienza è un atto politico. È difficile da raggiungere. La Libertà, vera, è la libertà di coscienza. È quello che non riusciamo ad ottenere, a raggiungere, e così ce ne stiamo schiantati in mezzo alla strada, ci impasticchiamo, è un po’ la storia del «non tengo prospettive». Ma piano piano uno ci può riuscire. Questo è un po’ il mio punto fermo, la mia piccola costante. Certo neanche io ci riesco a vedere sempre le cose con coscienza. È una cosa che ho intuito. Però non è facile da applicare, perché poi, alla fine, sono anch’io un borghese di merda!

Come vi siete conosciuti voi quattro, qual è la storia del gruppo?

Non è un fatto romantico più di tanto, perché in realtà viviamo tutti nello stesso quartiere. Ci conosciamo da quando eravamo piccoli suoniamo insieme da dodici anni. Da quando ne avevamo 14, accidenti! Bello però.

E della scuola, che ricordo hai, ti piaceva?

E… no. Se ci penso veramente mi rompo i coglioni. L’università è diversa, fino a due anni fa ero iscritto a lettere antiche, studiavo egittologia e assirologia: due lingue morte. Sono due discipline mal strutturate, i corsi non sono ben indirizzati, capisci, non sai dove vai a parare. L’università, anche, ti porta a questa proverbiale ‘mancanza di prospettive’. Non è che stiamo andando chissà da che parte: ci stiamo chiudendo sempre di più in noi stessi, in una sorta di sfera individuale e alla fine comunicare è superfluo. Tu stai a casa tua, ti schianti la testa davanti al computer, e le cose man mano si adattano sempre di più attorno e addosso a te. E alla fine non la senti proprio più quest’esigenza di comunicare. Il collettivismo è una dottrina buona: la caduta delle dottrine collettivistiche però è una realtà, le cose si sono incancrenite e questo è quello che è successo. lo sono un tipo allegro, questa sera poi ci dobbiamo divertire perché siamo a un concerto, ma al di là di questo, non è che le vedo granché bene le cose… E se leggi le canzoni lo vedi da te. Poi è anche vero che cantiamo in dialetto e la gente non è che capisca proprio tutto.

E questa scelta del dialetto da cosa viene?

È una scelta fonetica, soprattutto, però adesso sto studiando il modo di rendere un dialetto un po’ più comprensibile: anche proprio perché io parlo così, mezzo in dialetto e mezzo in italiano, e alla fine riesco a farmi capire. Credo che un discorso del genere si possa diffondere, e comunque quello che in questo momento mi interessa è essere comprensibile. Sto lavorando molto per questo, da un punto di vista semantico proprio: è una parola un po’ grossa… in sostanza sto cercando di ‘dialettizzare’ il mio italiano, e ‘italianizzare’ il mio dialetto. Penso che, comunque sia, un ponte lo riusciamo a gettare, quando suoniamo. Ma mi piacerebbe riuscire ad aprire ancora più porte.

Il nome del gruppo è una moneta (questo che è intervenuto è di nuovo Lorenzo).

Sì, aveva un bel suono fondamentalmente. Poi è una moneta, era una moneta molto infima: non valeva un cazzo! [ride] Era divertente, tragicomico.

Da quanto è che suonate?

Abbiamo cominciato a suonare tre anni fa, poi piano piano siamo riusciti a fare sempre più concerti, quest’anno ne abbiamo fatti quasi 150.

Vi ho visto anche in televisione.

Sì un paio di volte anche lì. La televisione è un fatto strano, se contestualizzato a prescindere, per cui, nel momento in cui ci vai, sei uno stronzo.

Lorenzo: «In effetti anche a me è sembrato strano, un gruppo come il vostro… poi del resto mi ha fatto piacere, dal momento che vi ho visti!».

No no, me ne rendo conto di questa cosa, ma alla fine anch’io sono un borghese, guardami come vado vestito. Essendo massimalista a quel punto vado da Red Ronnie, faccio il giovane lobotomizzato, faccio capire perché sono lobotomizzato e almeno lo prendo per il culo. Ma non lui, me stesso: dico alla gente che comunque io sono uno che rispetto a questa cosa di suonare non si piglia troppo sul serio proprio perché vado in televisione: se non ci andassi forse sarei più esaltato, invece così metto a nudo i miei limiti, di borghese, anche.

Cosa fanno i tuoi, che parli sempre di appartenenza sociale?

Mia madre, perché c’è mia madre, lavora alla regione.

Non era in senso sociologico che intendevi la ‘borghesitudine’. È un modo di pensare, magari.

Già, non vengo da una famiglia ricca, intendevo ‘borghese’ dal punto proprio della cultura in cui sono cresciuto: ho fatto medie, liceo scientifico, bocciato tranquillo, l’unico 36 di classe mia ero io [ride]. E poi ho fatto l’università. Ho fatto prima giurisprudenza, poi ho capito che c’erano i fascisti e me ne sono scappato. Poi ho cambiato… ma qui non ci interessa, era per farti capire il background culturale e ambientale…

Hai letto qualche libro, di recente, che ti è piaciuto?

Uno dei miei problemi di gioventù è che ho letto, ora mi rompo i coglioni di leggere, di vedere i film alla tv, al cinema, proprio perché mi sono sovrastrutturato troppo, capisci? Adesso mi vorrei, semplificare. Leggetevi, mi viene da dire, una poesia che si chiama Dove non splende il sole luce penetra di Dylan Thomas, è bella, e in questo momento mi ci ritrovo.

Lorenzo: «Dylan? Thomas».

Sì.

Sì, sai, Bob Dylan ha preso il nome proprio da lui.

Già. Ascolto molti dischi, ancora. Per quanto riguarda i dischi ancora mi devo ‘destrutturare’. Del resto ora che suono e me lo posso permettere compro anche più dischi: ad esempio ho preso questo quadruplo vinile di due produttori austriaci che si chiamano Kruder & Dorfmeister [voci non nuove di quella che oggi viene chiamata “nuova scena elettronica”, n.d.i.]. Poi ai ragazzi dico, i dischi fateveli prestare, registrateli, del resto mica tutti se lo possono permettere di spendere 50.000 alla volta…

Lorenzo: «Una politica saggia può essere quella di comprare gli originali dei gruppi italiani, per favorire proprio la musica italiana».

Sì, ma la cosa più importante è far circolare le cose, cassette registrate, fanzine, diffondere. Stasera per esempio suoniamo in un locale… A proposito quanto si paga qua, si paga assai?

12 o 15, non so più.

Comunque qua in provincia di Cuneo abbiamo già suonato un paio di volte, quest’anno voglio dire, una volta al Nuvolari, un’altra volta in un parco, avremmo dovuto, ma poi ha piovuto. Il giro dei concerti si sta ampliando: i ragazzi hanno sempre più la possibilità di venirci a sentire dal vivo. A Napoli invece è tantissimo tempo che non suoniamo. È anche vero che ci sono meno spazi, e noi non siamo in grado di riempire un posto da 8000 posti, riusciamo a farne 200, metti. L’ultima volta che abbiamo suonato a Napoli è stato cinque mesi fa, con i 99 Posse e altra gente di Napoli. Abbiamo occupato una piazza e abbiamo fatto un concerto.

Lorenzo: «Quindi anche i 99 POSSE non sono un fenomeno da baraccone…».

No no, c’era una manifestazione di Forza Nuova, i fascisti, a via Nazionale, e quindi noi o meglio il collettivo ha organizzato il contro corteo e poi noi abbiamo suonato: i Posse hanno portato il palco con l’amplificazione a spese loro, loro sono quelli messi meglio del resto. È stata una bella cosa, ‘solidale’.

Lorenzo: «Senti, com’è che dopo aver fatto un solo disco, ve ne siete usciti con un live, è la casa discografica che magari ha spinto per questo?».

No, proprio come approccio è diverso: il lavoro che si fa in studio, quello che abbiamo fatto, è un lavoro più mentale, cervellotico. Lì c’è la riflessione, mentre dal vivo si ha una sorta di propulsione.

Un altro livello di creazione.

Esatto, è interpretare gli stessi pezzi in una chiave differente. Ultimamente poi è diventato un fenomeno diffuso, penso al discorso del remix, anche il lavoro su testi di altri.

Gli altri gruppi di Napoli sono…

C’è un bel movimento, ad esempio c’è un gruppo che si chiama APOLINA: cantano hip hop su basi drum’n’bass, dal vivo hanno veramente un bel l’impatto, un bello show. Poi ci sono i NARCOLEXIA, che sono usciti anche per bmg, e fanno techno punk, hanno dei buoni pezzi, ogni loro concerto sconfina in un rave.

Lorenzo: «Senti, e visto che venite spesso al nord, che ne pensi della Lega?»

Ma, ti ripeto, noi suoniamo da due anni al nord con una frequenza abbastanza assidua, tutte le settimane siamo qui, comunque mi è sempre capitato di incontrare gente tranquilla: mai incontrato un leghista. Però vedo realtà pesanti, tipo quella di Treviso dove abbiamo suonato spesso, e c’è quel sindaco che è allucinante… Però non la vivo da dentro, per cui non so giudicare. Da fuori sono ridicoli, sono grotteschi. Del resto io penso che l’Italia, tutta intera, sia una pedina della NATO, e noi siamo dei colonizzati, napoletani, veneti ecc. E questo non lo penso da ora, ma sarebbe un discorso lungo. Troppo.

Torniamo alla musica, ci sono un sacco di gruppi di ragazzi che cercano di uscire, voi come avete fatto?

Noi ci siamo affidati a un’etichetta indipendente e c’è andata bene, lavoriamo a conduzione familiare: ci vuole molto culo, però.

Il prossimo disco?

Uscirà ad aprile.

Lorenzo: «Sempre con questa linea reggae».

Noi in realtà non abbiamo mai suonato reggae.

Lorenzo: «Però quella cadenza, anche quel tipo di sonorità e anche di ‘solarità’ c’è, si sente».

In effetti quando abbiamo scritto LOOP sì, ora non ce la sentiamo tanto di esprimere quel tipo di stato d’animo… Forse è venuto un po’ meno. Ma tutto comunque esce dalla stessa mano, e alla fine si avverte sempre una continuità. Però esamini sempre fasi diverse: è come se noi avessimo agito all’alba, con LOOP, mentre adesso ci troviamo ad affrontare mattino, pomeriggio e sera, con questo disco. Poi probabilmente verrà la notte.

E poi ricomincia: mattino pomeriggio e sera…

No, poi si viaggia.

Intervista a cura di Barbara Basso

 

Discografia dei 24 Grana (album in studio)

1997 – Loop
1999 – Metaversus
2001 – K Album
2003 – Underpop
2008 – Ghostwriters
2011 – La stessa barca

Discografia da solista di Francesco Di Bella

2013 – Francesco Di Bella & Ballads Cafè
2016 – Nuova Gianturco
2018 – ‘O diavolo