Parlaci di te.

Sono nato a Milano e ho vissuto fino a poco più di vent’anni in provincia. Se non mi fossi trasferito in città probabilmente ora starei facendo altro. Una città come Milano ha un catalogo di possibilità molto più ampio e articolato tra le quali scegliere. Prima di fare arte, ho provato a diventare il tennista, il chitarrista, il pilota di rally, ho lavorato come scrittore e regista di teatro e di pubblicità e un giorno speravo, e ogni tanto spero ancora, di cinema. Credo che avrei potuto tranquillamente fare una o più di queste attività per tutta la vita, magari con successo, se mi fossi impegnato un po’ di più; ma la noia è il più grande effetto collaterale di ogni mio esperimento. Dopo un po’ la noia vince sulla mia pazienza.

Sei un artista. In cosa consiste esattamente il tuo lavoro?

Ho cominciato tardi con l’arte. Anzi: ho ricominciato tardi. Avevo 37 anni quando ho partecipato alla mia prima mostra, la Biennale di Mosca del 2005, e già 40 alla mia prima personale in Svizzera. Ho recuperato in fretta però, perché nel giro di pochi anni ho esposto a Frieze Art Fair, Loop Barcellona, Arco e Just Madrid, Scope NY e in diverse fiere internazionali, mostre e progetti in musei importanti, tra cui il Museo Statale di San Pietroburgo. Ho anche avuto la grande fortuna di esporre, e in alcuni casi di collaborare, con molti artisti di fama. Per citarne alcuni: Roberto Cuoghi, Adrian Paci, Carlos Garaicoa, Loris Cecchini, Jota Castro, Steve Piccolo e, ultimamente, Anri Sala. “iluvyou”, una mia opera video con audio di Steve Piccolo, è stata esposta accanto a opere video di Bill Viola ed Erwin Olaf nella mostra “inCollectionthree, Humanity”. Nel 2012 ho realizzato alcuni video e installazioni per due mostre del grande architetto scomparso da poco Yona Friedman dal titolo “La dilution de l’architecture” al COAM di Madrid e “Yona Friedman: Genesis of a vision” presso la Archizoom Gallery di Losanna.

Nel corso di questi anni ho lavorato con tutti i generi e materiali possibili: sculture in metallo, legno e vetro, fotografia manipolata o di ambienti alterati, serigrafia, video, audio, installazioni, pittura. Faccio molti esperimenti e prendo idee da qualunque cosa sento o vedo.

Ritornando ai miei inizi, il mio percorso artistico è cominciato grazie alla collaborazione con Oxana Maleeva, curatrice indipendente che ha curato e realizzato molti progetti internazionali per conto di istituzioni e privati. Collabora in particolare con il Museo Statale Russo di San Pietroburgo per i progetti esterni. Con lei e Steve Piccolo abbiamo dato vita a “Rabotaroom”, uno spazio espositivo a Milano che ha ospitato, tra gli altri, il grande artista americano Jimmie Durham. Negli ultimi anni mi sono dedicato anche al design e ho esposto il mio qBo, uno dei molti elementi di arredo che ho progettato, al Salone del Mobile del 2015. Da circa un anno lavoro al progetto per la creazione di un mio marchio di arredamenti di interni.

Quanto è stata importante la tua formazione per quello che fai oggi?

Avrei dovuto studiare arte, perché a scuola ero molto bravo a disegnare ed ero creativo anche in altri ambiti. Ma poi il mio interesse per l’arte si è indebolito e ho cominciato a interessarmi di più alle lingue straniere. Ho deciso quindi di studiare lingue per diventare traduttore di letteratura e magari scrittore io stesso. Quindi ho scritto molto, anche per alcuni giornali italiani avendo anche la possibilità di pubblicare un libro per una buona casa editrice. Ma avevo già abbandonato l’idea del libro. La letteratura che amavo è finita bene o male nell’arte che faccio.

I libri che ruolo hanno nella tua vita?

Fino a 22 o 23 anni non leggevo. Nemmeno a scuola, nonostante fossimo più o meno obbligati a letture imposte. Poi, quando sono usciti i primi libri della Newton & Compton a mille lire, ho cominciato a comprarne qualcuno. Costavano veramente poco. Ne comperavo in continuazione e leggevo tantissimo. Poi quelli usati della Utet, poi nuovi di tutte le case editrici. Molti anche nella versione originale o addirittura traduzioni dell’originale in lingue che nemmeno conoscevo, tipo il finlandese. Era diventata la mia nuova fissazione: comprare e possedere libri. Non serviva leggerli tutti, anche se leggevo tanto, ma volevo averli, per poterne leggere uno in qualunque momento in base al mio stato d’animo. I libri sono stati importantissimi perché mi hanno permesso di conoscere quello che a scuola non mi interessava studiare, portandomi in giro per il mondo.

I libri sono stati importanti per il lavoro che fai?

A parte i primi esperimenti con la video arte e la performance, molti dei miei primi lavori, e altri che sto realizzando in questo periodo, sono nati intorno ad alcuni libri. Le opere in serigrafia con la trascrizione di interi testi letterari trasformati in immagini con la tecnica della sovrapposizione, sono nate dalle opere degli autori che più ho amato: Dostoevsky, Böll, Bulgakov, Gogol, Márquez, Saramago, Calvino, Buzzati, Bufalino, Queneau, Céline.

C’è un libro in particolare che ha avuto un ruolo decisivo in quello che sei oggi?

Più di uno; ma se devo scegliere, ne scelgo almeno due: Opinioni di un clown di Heinrich Böll e Sessanta racconti di Buzzati.

Ce ne vuoi parlare brevemente?

Opinioni di un clown l’ho letto quando mi occupavo di teatro e in seguito l’ho riletto più volte, anche in tedesco. Ho visitato i luoghi indicati nel libro in un tour europeo con il mio furgone. Ero in un momento faticoso e non ho potuto evitare di immedesimarmi un po’ in Hans, il clown in declino e sconfitto, dato che stavo vivendo alcuni fallimenti personali. E il lungo lamento di Hans era, in quel momento, la mia canzone triste sulla quale commiserarmi. Ho lavorato al progetto di uno spettacolo teatrale tra danza, racconto e mimo per un attore solo, ma è ancora nel cassetto. In seguito è diventato lo spunto per un ciclo di opere sulla letteratura. Buzzati mi ha insegnato il valore del surreale e l’essenza del paradosso.

Intervista a cura di Angela Vecchione