LAS CALLES
Las calles de Buenos Aires
ya son mi entraña.
No las avidas calles,
incómodas de turba y de ajetreo,
sino las calles desganadas del barrio,
casi invisibles de habituales,
enternecidas de penumbra y de ocaso
y aquellas mas afuera
ajenas de arboles piadosos
donde austeras casitas apenas se
aventuran,
abrumadas por inmortale
distancias,
a perderse en la honda visión
de cielo y de llanura.
Son para el solitario una promesa
porque millares de almas singulares las pueblan,
unicas ante Dios y en el tiempo
y sin duda preciosas.
Hacia el Oeste, el Norte y el Sur
se han desplegado – y son también la patria – las calles:
ojalà en los versos que trazo
estén esas banderas.
LE STRADE
Le strade di Buenos Aires
sono già nelle mie viscere.
Non le avide strade
scomode di folla e di trambusto,
ma le strade svogliate del quartiere,
quasi invisibili per l’abitudine,
intenerite da penombra e da tramonto
e quelle più fuori
prive di alberi pietosi
dove austere casette si avventurano
appena,
oppresse da immortali distanze,
a perdersi nella profonda visione
di cielo e di pianura.
Sono per il solitario una promessa
perché migliaia di anime singolari le popolano,
uniche davanti a Dio e nel tempo
e senza dubbio preziose.
Verso l’Ovest, il Nord e il Sud
si sono dispiegate – e sono anche la patria – le strade:
spero che nei versi che traccio
ci siano quelle bandiere.
Trad. Livio Bacchi Wilcock
Poeta di Buenos Aires Jorge Luis Borges, poeta cantore della città che «si ascolta come un verso», ed insieme poeta della terra argentina nella sua vastità, argentino nell’anima e nelle viscere.
Dunque la poesia di Borges è poesia intimamente urbana, e anche poesia della vastità e dello spazio vuoto e profondo che abbraccia minaccioso la città: Buenos Aires, centro allibito-circondato dalla Pampa, la grande infinita pianura cara ai pastori argentini, cantata dalle chitarre in una «profonda visione di cielo».
La Pampa argentina: infinito che sommerge ogni uomo, lungo spazio aperto temuto, come sempre è temuto ciò che non presenta confini visibili. La città è allora porto sicuro; a meglio proteggere. Si rinchiude e si raccoglie su se stessa, assumendo le dimensioni della strada, del quartiere svogliato in penombra, la malinconica aria serale del tango, il tramonto argentino da un cortile umido e profumato o da un patio, riposo dell’anima dall’ignoto e dal nulla, calda e misurata familiarità. Ed è la città a segnare intorno al poeta una frontiera («qui non ho bisogno di parlare o di mentire privilegi»), la frontiera della civiltà contro il “barbaro” (la natura inarrestabile imprevedibile, l’oceano d’erba, l’Altro che si mostra nel suo mistero).
Ma Borges è poeta della città e dell’Argentina tutta, insieme storico e padre ri-fondatore della sua terra, una terra che assume nel pensiero e nel verso le connotazioni mitiche, della quale è impossibile immaginare l’origine o il termine. Ed è allora la Pampa stessa, ignota ed immensa, pericolosa da un lato, ad essere temuta ed insieme affermata ed amata come spazio di libertà, simbolo dell’ancestrale desiderio di libertà del popolo argentino, metafora dell’anelito che animò le lotte per l’indipendenza dal tiranno Rosas (quella stessa libertà che spingerà Borges ad opporsi, molti anni dopo, al “tiranno” Peron). Argentina terra di combattenti liberi, terra di fierezza.
Non solo questo è la poesia di Borges, un mondo complesso di immagini ed oggetti emblematici (gli scacchi, le clessidre, le enormi biblioteche), un universo immenso ed autoreferenziale, un universo di metafore e richiami, aperto all’Europa e all’Inghilterra, all’America di Whitman, alla Spagna di Cervantes, a Dante e Schopenhauer.
Ma Borges nasce e muore figlio di Buenos Aires.
Nasce e muore poeta argentino.
Elena Varvello
Quando scrivo cerco di essere essenziale. Prendo una penna e cancello tutte le frasi che non sono indispensabili […]. Ogni tanto provo a fare lo stesso con Borges: lo leggo con una penna in mano e provo a cambiare una parola, a togliere una virgola. Impossibile, Borges è sempre perfetto.
E tu cosa ne pensi?