Klara è un Amico Artificiale (AA), non sofisticato come i più moderni B3, ma dotato di capacità straordinarie e, soprattutto, di una sensibilità e di uno spirito d’osservazione particolarmente sviluppati, non comuni neanche negli esseri umani.

È un futuro in cui le fratture sociali sono sempre più marcate, in cui i giovani per farsi strada e garantirsi un avvenire degno delle proprie capacità devono essere potenziati, anche a rischio di comprometterne la salute. Che è proprio quello che è successo a Sal, la sorellina di Josie e che sta accadendo anche a lei stessa, sempre più debilitata da uno strano male.

Klara e il Sole è una una storia di fantascienza, dunque, ma anche una storia d’amore (ma non lo sono, forse, tutte?) e di dolore e, soprattutto, una profonda riflessione sul rapporto dell’uomo con sé stesso, con la natura, con il mondo che lo circonda, con la tecnologia. Tantissimi i temi affrontati: i pericoli della dipendenza dalla scienza, la natura (rappresentata dal Sole) come unica speranza di salvezza e fonte di serenità, i conflitti sociali e, soprattutto, il contrasto tra due visioni contrapposte della realtà: da una parte quella predominante, completamente protesa verso il conseguimento del successo a tutti i costi (obnubilata dai miti della carriera, del potere, del denaro), verso l’affermazione di sé non come individuo, ma in quanto ingranaggio di un meccanismo perennemente in moto; dall’altra la visione alternativa di chi, finito ai margini della società per scelta propria o altrui, osserva dall’esterno questa macchina perfettamente oliata che però stritola tutto e tutti quelli che non stanno al passo, e  comincia a riflettere sulla possibilità che starne fuori possa non essere necessariamente un male, che si possa sopravvivere senza essere risucchiati dal vortice, che sia possibile trovare la felicità anche altrove, perché la libertà di scelta non ha prezzo e non tutto è sacrificabile sull’altare del successo.

Tutti, o quasi, i personaggi del libro, ciascuno a suo modo, nella loro costante ricerca di una soluzione, di un’alternativa per Josie, o forse per stessi, rivelano quanto profonda sia questa frattura tra le due opposte visioni. Probabilmente la vera linea di demarcazione sta nella capacità di sperare, capacità che, paradossalmente, dimostra di conservare la nostra AA più di molti esseri umani. Speranza, dunque, e fiducia guidano Klara nelle sue scelte (anche verso inopinabili sacrifici): fiducia negli uomini, nelle cui azioni cerca di scorgere sempre una positiva motivazione di fondo e, soprattutto, fiducia nel Sole, da cui ella stessa trae nutrimento, e nelle sue capacità terapeutiche.

La scrittura di Ishiguro per lunghi tratti scorre placida come un ruscello nel bosco, ma a poco a poco si carica di tensione, a sottolineare il crescendo drammatico della narrazione, per poi sfumare di nuovo lentamente in un finale sfocato, come un tramonto cittadino, filtrato dallo smog.

Nel raccontare le vicende dei personaggi, che, come abbiamo accennato, ruotano essenzialmente intorno al loro rapporto con Josie, Ishiguro va continuamente alla ricerca di risposte a domande esistenziali, poste in maniera più o meno esplicita:

  • Che ne sanno i bambini dell’amore? (probabilmente tutto)
  • Dove ci condurrà questa corsa sfrenata verso il successo, il benessere materiale, l’evoluzione tecnologica e quanto siamo disposti a sacrificare per far parte di questo circo, per conseguire i nostri scopi, per non restare indietro, per non essere considerati dei perdenti?
  • In questa gara senza senso, chi è che vince davvero?

Ma, soprattutto, centrale è la questione sintetizzata dalla domanda che il padre di Josie (un ex brillante ingegnere, ormai relegato ai margini della società) pone a Klara: “Tu credi al cuore umano? Non intendo semplicemente l’organo, è ovvio. Parlo in senso poetico. Il cuore umano. Tu credi che esista? Qualcosa che rende ciascuno di noi unico e straordinario.”

Fabio Sarno

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