Parlare della fantascienza sovietica degli anni ’50 significa guardare in faccia il vuoto e chiedergli il perché di questo silenzio.
Se gli inizi della SF, negli anni ’20, furono interessanti e promettenti e fiorì una letteratura che prendeva di petto tutti gli argomenti con estremo ardore e coraggio – in armonia con la situazione culturale generale -la svolta autoritaria che ridusse la rivoluzione leninista allo stalinismo si rivelò fatale per questa giovane letteratura. Nel dopoguerra, dopo qualche breve spiraglio, la censura ideologica si fece sentire pesantemente riducendo la SF a divulgazione scientifica di basso rango, esaltazione del regime e contestazione dell’occidente. Esprimendosi sulla SF di questo periodo, il critico inglese Townsed nel ’63 scrisse che “fino alla morte di Stalin la fantascienza sovietica si è occupata quasi esclusivamente di nuovi congegni per i lavori pubblici, di nuovi metodi d’estrazione di diamanti, di nuovi mezzi per utilizzare l’energia dei vulcani, di nuove battitrici – mietitrici”.
Sotto queste direttive, la produzione risulta molto monotona, per lo più ambientata in un futuro prossimo di conquiste spaziali, col mal celato intento di instaurare speranze per un futuro radioso in cui l’URSS prospera forte delle sue conquiste tecnologiche e sociali. Il modello da emulare è V eme per produrre opere con intenti didattici e moralistici, e in questo fu maestro Belaijev. Rari i racconti che si discostano da queste direttive, come una breve opera di Nicolij Vedenisov, che affronta il tema raro dei viaggi nel tempo per approdare a una storia che spostandosi all’epoca di Cristo si propone di dimostrarne l’inesistenza, forte della logica e impassibilità del materialismo dialettico. La tematica fondamentale di tutte le opere resta sempre e comunque l’antiamericanismo, tematica sviluppata attraverso la presentazione di personaggi abietti e malvagi che dovrebbero rappresentare il prototipo dell’homo sapiens capitalista. I prologhi di queste opere tendono all’omologazione, con descrizioni asettiche ed impersonati della tecnologia di cui sono circondati i personaggi. Le figure più delineate sono, sovente, gli occidentali capitalisti: la necessità di descriverli come perversi e viscidi incantatori porta ad una attenta descrizione dei tipi.
Ci sono poi fattori più specifici che possono ravvisarsi: l’ossessivo patriottismo, l’antireligiosità espressa tramite alcune superstizioni, la figura di scienziati occidentali incapaci che vivono sul talento di giovani collaboratori, rozze guerre psicologiche giocate a suon di formule… Tutto ciò finisce per omologare la produzione che diventa estremamente piatta e dalla conclusione univoca: è il pragmatismo sovietico, basato su un’ideologia comune e granitica, a trionfare sull’incertezza dell’individualismo occidentale. In questo squallido quadro costituisce un eccezione Ivan Efremov – che ha iniziato a pubblicare SF negli anni ’40 ed è stato il rappresentante ufficiale dell’ideologia socialista della SF – di cui in Italia negli anni ’60 venne pubblicato Cor Serpentis su Galassia. Efremov nell’introduzione alla sua antologia di “Racconti” pubblicata nel 1944, dà la propria interpretazione del ruolo della fantascienza nel suo mondo: “cercare di sollevare il velo del mistero lungo queste strade, parlare di risultati scientifici non ancora raggiunti come se fossero realtà, e in questo modo portare il lettore ai più avanzati avamposti della scienza: sono questi i compiti della fantascienza, per come li vedo io. Però non esauriscono gli obiettivi della SF sovietica: la sua filosofia è servire allo sviluppo dell’immaginazione e delle facoltà creative del nostro popolo come strumento per lo studio della vita sociale; e il suo obiettivo principale è cercare il nuovo, e attraverso questa ricerca ottenere una visione del futuro”.
Efremov costituisce l’unica significativa eccezione di questo periodo buio, che fortunatamente iniziò a tramontare agli inizi degli anni ’60 con la “caduta” dello stalinismo e la nascita di veri talenti come i fratelli Boris e Arkadj Strugatskj e soprattutto Stanislav Lem (di origini polacche) che nel 1961 produsse Solaris (ed. Nord) e successivamente L’invincibile (ed. Nord). Con Solaris finalmente si riscopre la letteratura in chiave fantascientifica, la profonda introspezione psicologica attraverso un pianeta cosciente, Solaris. Un oceano “vivo” scruta nell’animo dei protagonisti proiettando, nella loro solitudine l’immagine del rispettivo nucleo umano essenziale: quel nucleo che rimane indistruttibile, una volta smantellate tutte le sovrastrutture. Quell’intima natura nuda di cui ci si vergogna, ma che ci permette comunque di continuare a confrontarci con l’Universo intero.
Emiliano Farinella
* Si ringraziano V. Curtoni e P. Caressa