La locanda di Viola. Una storia partigiana, edito da Graphot per la collana Spoon River, racconta una storia che conosciamo tutti.

È una storia che conosciamo tutti quella della furia brutta e spietata dei nazifascisti, quella che sconvolse la vita di molti, sovvertì le regole della civiltà e della protezione, rinnegando libertà e democrazia.

C’è una data, quella dell’8 settembre 1943, che trasforma il rifiuto di questa violenza in azione. Quando molti sentirono la responsabilità della liberazione nelle proprie mani, nella propria testa e nel proprio cuore e salirono sulle montagne per unirsi, difendere e attaccare. Tra loro c’è Viola, la sua famiglia e la loro locanda, un riferimento nella storia della liberazione del Piemonte.

“La locanda dei Fiori” diventa un luogo in cui si svolge la Storia, un libro che si apre sul tavolo, un palcoscenico dove è possibile vedere le atrocità si, ma anche il coraggio, la lealtà, il dubbio. Perché l’abilità di Jahier e Geymet sta nel raccontare tanto gli avvenimenti quanto l’umanità che li ha vissuti, attraversati, portando sulla pagina anche le scelte necessariamente difficili di un periodo complesso e spietato.

Viola è una staffetta partigiana, figlia di una famiglia antifascista da sempre, che ha avuto prova della crudeltà nera molto prima dell’inizio della guerra.

Viola è un fiore, delicata nell’aspetto ma resistente, in grado di guidarci per la Val Chisone e la Val di Susa, in sella alla sua bicicletta, nel compimento di azioni sempre più difficili e pericolose.

Viola è un colore, intenso e persistente, coraggiosa quindi e sempre in prima linea come nel compito finale, il più duro.

Le foto alla fine del libro e le testimonianze dei figli ci rimandano l’immagine di una donna che combatte, guidata dalla sensibilità e da un senso di giustizia anche dopo gli anni bui dell’occupazione.

Accanto a lei figure che stimolano la lotta, quale ragione che supera le preoccupazioni, le paure, talvolta l’empatia in favore della giustizia.

Il fratello Nino, partigiano sulle montagne.

Gino, un amore messo in attesa che fiorirà dopo la guerra, nella liberazione tanto attesa. Mamma Ida, temeraria, irriverente e accogliente.

Papà Lily, per due volte portato via dai nazifascisti, in un’azione di continua rappresaglia per una locanda che viene identificata come un luogo di banditi, di sovversivi.

La locanda è invece un luogo di salvezza, un edera sulla porta che segna il passaggio dall’oppressione alla libertà, dal buio alla bellezza.

Il finale è il finale di una storia che conosciamo, ma si amplifica in una dimensione quasi familiare, la dimensione di una storia che non abbiamo solo sentito ma anche vissuto.

In questo libro, che è un romanzo ma anche il reportage di un momento storico fondamentale per la nostra democrazia, ci sono tutti gli ingredienti per parlare a tutte le generazioni e rendere la storia uno strumento di liberazione.

Maria Laura Colmegna