In Enjoy Sarajevo (Fandango Editore) di Michele Gambino quest’estate l’assedio di Sarajevo è stato un tempo sospeso in cui la vita in guerra, l’amore e l’amicizia che nascono anche nel terrore hanno avuto il sopravvento.

Da anni, leggendo libri e guardando film e documentari, cerco nella narrazione del conflitto dei Balcani una lente attraverso cui osservare e provare a capire gli equilibri del mondo di oggi.

È spesso Paolo Rumiz ad accompagnarmi per mano lungo il filo di una memoria che è storica e collettiva: nessuno come lui mi spiega le guerre, la politica, i luoghi e l’anima della gente in quel groviglio di storia e di lingua che chiamiamo Europa insieme al racconto necessario dei meccanismi contorti della politica come i media non hanno fatto e mai faranno.

Nel libro di Gambino ho trovato un altro punto di vista: ho riconosciuto il “mal di guerra”, quel magnetismo che ha spinto inviati e giornalisti da tutto il mondo ad attraversare confini invalicabili – e almeno una volta l’ingresso dell’Holiday Inn, sede della stampa internazionale, che oggi ridipinto di un giallo eccessivo svetta in uno dei viali di accesso alla città – per capire e raccontare una guerra che a tratti è stata una grande farsa mediatica, un inganno collettivo davanti a un’Europa incapace di agire, in nome della pulizia etnica.

Il male, nel libro di Gambino, ha il fare circospetto di Amos Profeti; spesso si mimetizza, resta in attesa in penombra e fino a quando non esce allo scoperto e semina dolore.

Mi fissò in maniera sfrontata, come non aveva mai osato fare prima. Sostenni il suo sguardo improvvisamente duro.
“Dovevi capire chi ero davvero, prima di portarmi qui”, disse dopo qualche istante.
Nel suo modo animalesco aveva trovato la chiave, il senso di colpa.

Al di là della narrazione dell’assedio, che comunque ti aiuta a realizzare molti dettagli della vita in guerra – una guerra recente e appena al di là del mare per noi italiani – quello che il libro trasmette fortemente è la potenza di sentimenti sinceri: riconoscenza, fiducia, solidarietà, empatia che germogliano anche nelle situazioni più drammatiche e impreviste.

Questo fa di Enjoy Sarajevo un racconto di guerra che non dimentica la vita che sa sempre stupirci e portarci in salvo grazie all’ istinto anche nei momenti peggiori.

Sarajevo quest’anno passeggiando nella bascarsija, il quartiere turco, mi è parsa meno magica e più vera della prima volta in cui mi aveva letteralmente stregata con i suoi odori e l’energia magnetica dei luoghi in cui è passata la storia. In questo agosto mi è parsa anche un po’ claustrofobica e spenta. Forse, come tutte le cose, anche le città brillano in modo diverso a seconda di come la nostra anima le guarda.

Giovanna Solimando

 

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Sarajevo, posto unico al mondo. Boschi svizzeri e caffè turco. Minareti e rock music, minigonne e muezzin. Complessità difficile per un mondo che globalizza e semplifica. Forse per questo l’abbiamo lasciata distruggere.

Paolo Rumiz

 

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