«So che la gente non mi crede quando ne parlo, ma io sento davvero delle voci nella mia testa, voci che dicono, devi badare al mio dolore», dice Jennifer Johnston, nata a Dublino nel 1930, figlia del drammaturgo Denis Johnston e dell’attrice Shelah Richards. Nel suo ultimo romanzo, Due Lune, che sarà presto pubblicato in Italia (nel 1999, ndr), c’è un angelo italiano molto umano, Bonifacio, che si materializza con la faccia e la voce gioiosa del defunto marito di Minù, con il quale lei chiarisce tutti i fraintendimenti prima di raggiungerlo pacificamente nell’aldilà. Anche se tutti possono sentire l’aroma del caffè di Bonifacio al mattino, e sebbene la figlia di Mimì, Grace, un’attrice, continui ad intrattenersi chiacchierando con la sottile aria del mattino, ripassando la sua parte di Gertrude in Amleto, è solo Minù ad accettare la presenza dell’angelo nella sua vita e, rinvigorita da questo compagno privato che si prende cura di lei, getta uno sguardo creativo sulla sua storia, illuminando finalmente silenzi e segreti.

Nonostante il romanzo si chiuda con la morte della protagonista, questa è forse la più esilarante e sottilmente ironica delle undici opere che la Johnston abbia pubblicato fin’ora. E ricorda anche il romanzo che ha inaugurato la galleria delle mature protagoniste femminili dell’autrice, L’albero di Natale, che celebra ancora una volta l’impegno a vivere in maniera creativa, anche se si termina con la morte della protagonista di cancro. Come per Mimì, anche questa è una morte che viene infine accettata, attraverso il confronto con il passato da parte della sofferente quarantacinquenne Constance Keating, quando si misura con gli spettri e in maniera graduale viene a patti con la vita e con la morte, con« il giorno luminoso e con l’oscurità». Constance, che ha lasciato la sua famiglia e il suo paese per provare a diventare una scrittrice in Inghilterra e che evita qualsiasi relazione, all’età di quarant’anni affrontando la sua sterilità artistica decide di optare per la tradizionale maternità, ritorna a casa per morire e per affrontare tutto quello da cui aveva cercato di fuggire, e di cui ora si riappropria. Mentre per Minù il ritorno al passato è bloccato dalla visita del suo angelo, per Constance si tratta di un atto deliberato e più doloroso che si materializza attraverso la scrittura. La malattia e il bisogno di abbandonare un po’ della propria auto sufficienza accettando l’aiuto esterno, insieme alla determinazione di affrontare la morte a modo suo, forniscono il contesto in cui Constance ricompone la sua vita e si confronta con le paure che hanno impedito alla sua creatività di esprimersi. Queste paure riemergono a poco a poco attraverso lo scambio con vari interlocutori: suo padre e la sua paura del fallimento; sua madre e la paura di diventare la sua copia, cosi debole e finta come sua madre; il suo amante e la paura dell’auto distruzione; nascere e morire, e la paura del dolore in fine affrontate. Facendo questo, adempie ai doveri che in gioventù l’hanno costretta ad abbandonare la sua casa e il suo paese per diventare una persona e una scrittrice. Risalendo il sentiero di una vita che aveva schivato ogni coinvolgimento con le cose della vita, è preparata ad accettare la morte come parte di essa. L’albero di Natale illustra, quindi, il concetto di creatività di Jennifer Johnston, inteso come capacità di interrogarsi di mettere in discussione, i codici conformi alla società e dunque oltrepassare i limiti della realtà possibile. E quindi una nozione democratica che non riguarda solo l’artista ed è un requisito vitale per l’arte di vivere.

Quello di adattare l’arte alla vita è un compito difficile per una donna, ed è qualcosa che appartiene a tulle le protagoniste femminili della Johnston con inclinazioni artistiche ed anche è la ragione concreta per cui Constance ha rifiutato di sposarsi. Il conflitto tra arte e matrimonio è molto ben descritto nell’unico ritratto di scrittrice della Johnston che è riuscita a realizzarsi completamente, Stella Macnamara ne L’illusionista, anche questo pronto per la pubblicazione italiana. Come Constance, Stella parte per l’Inghilterra e sposa un uomo che rifiuta che la sua identità venga frammentata dai parametri borghesi e convenzionali della narrativa realista (il nome, la famiglia, lo status sociale, il paese, il sesso) e che sviluppa un’identità sfuggente, aspettandosi però che sua moglie e sua figlia interpretino il ruolo di donne adoranti, doverose, e amanti del focolare domestico. Non sorprende, quindi, che si senta minacciato dall’emergente creatività di Stella, prova dei «segreti dell’animo» che lui non può controllare. È il romanzo del cambiamento di rotta del rapporto madre-figlia che è evidenziato ancora di più nel romanzo Due Lune: la madre di Stella si rallegra al posto della figlia per il suo successo artistico e questo la spinge alle confessioni scritte dei suoi sogni più remoti e dei momenti più bui della sua vita quando si pente di non aver rischiato per amor suo.

Il romanzo precedente, Il Tarlo Invisibile, non è così esilarante e completo. Scritto in maniera brillante e preso in prestito il titolo da una poesia di Blake, rappresenta anche la voce più tormentata della Jonhston. Così come Laura Quinlan è tormentata dai ricordi del passato, che condivide con Dominic, un sacerdote in crisi e con il quale svela il segreto della casa estiva dove tutto è accaduto, così la narrativa accompagna i suoi cambiamenti d’umore e di prospettiva, le sue fughe, e l’affrontare ciò che ha «sporcato» la sua vita e il suo corpo e, a dispetto del suo matrimonio, la lascia muta, sterile e emozionalmente menomati: l’incesto e l’accusa di suo padre di aver «ucciso sua madre». La madre di Laura infatti si uccide dopo la rivelazione della figlia, rivelazione che, nel suo gesto, rafforza la trasgressione. La prosa tersa è tanto tesa e riflettente quanto l’animo di Laura, e suggerisce in modo sottile al lettore di compiere lo sforzo sovrumano per nominare l’innominabile:
«Sono in piedi di.fronte alla finestra e guardo la donna correre.
È Laura?…
Forse, penso, corre verso qualcosa.
Lo penso nei giorni migliori:
Gli altri giorni, so che fugge via.
Mi fa ridere.
Che cosa significa tutto questo?»

Rivelarlo è più doloroso che appiccare il fuoco alla svelata casa estiva ed entrambi i gesti sono atti di volontà e di cura della rosa più delicata e «malata» (Blake), che, per tutta la sua fragilità, condivide con le altre protagoniste della Johnston la determinazione a «embellish the emptiness of living [and] come alive».

Teresa Casal
Traduzione di Elvira Raimondi

In libreria

Jennifer Johnston
L’albero di Natale

La Tartaruga, 2002
Collana: Narrativa
A cura di Rosi Dossena
212 p., rilegato
€ 15,00

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