Marta Aidala, è la nuova autrice esordiente della casa editrice Guanda che, con l’equilibrata conduzione di Federica Manzon, sta ampliando e diversificando il catalogo, proponendo diversi generi di narrativa contemporanea, cercando e riuscendo a collimare la tradizione della casa editrice con le nuove tendenze editoriali.

La scrittrice oltre ad essere esordiente è giovane, diciassette anni, ma l’età anagrafica non deve fuorviare e limitare il giudizio, in quanto già dalle primissime pagine di questo romanzo si evince la profondità di una protagonista che con consapevolezza compie una scelta.

La citazione in epigrafe è di una poetessa italiana troppo spesso dimenticata: Antonia Pozzi; un inizio deciso e inequivocabile, una menzione colta: l’autrice vuole che le si presti attenzione, perché Aidala è una donna interessata, preparata, si è formata alla Scuola Holden, si è diplomata, e ora lavora in una libreria.

La strangera è la storia di Beatrice, della sua scelta, delle sue stranianti riflessioni; una studentessa di Torino che abbandona la città e si trasferisce in montagna, in alta quota, sua vera e antica passione; mette in pausa la sua vita, sceglie di lavorare nel rifugio del Barba per la “stagione”, contro il volere dei suoi genitori, carichi di perplessità e preoccupazioni.

Si sente finalmente a casa in questa nuova avventura, l’energia della vita lavorativa frenetica del rifugio le dona nuova linfa, stringe amicizie con gli altri collaboratori, trova una routine, ma è nelle pause che rinnova con intenzione e motivazione la sua scelta. In quei brevi attimi riesce ad assaporare il significato intrinseco delle piccole e grandi cose, che non sono solo dettagli, ma chiari segnali che pitturano il suo mondo.

La montagna non può essere più presa di petto come aveva fatto in precedenza, vivere la montagna non è solo competere con sé stessi, non è darsi obiettivi di prestazioni, ma è ascoltare le sinergie primitive di un pino che cresce cercando la luce nei primi raggi del mattino.

Lei rimane comunque, agli occhi di tanti, la strangera, la straniera, la cittadina.

“Una strangera.” Fu quell’uomo a chiamarmi così per la prima volta, e avrei voluto rispondere ciò che avrei detto a tutti gli altri in seguito, che lì in montagna io ero straniera esattamente quanto loro.

Straniero invece non è Elbio, un pastore malgaro della montagna che allaccia con Bea un rapporto timido giocato e alimentato da chiaro-scuri. Le montagne si sono formate per un metamorfismo da contatto e la loro unione nasce così, opposti che si attraggono: lui pura tradizione, lei slacciata dal contesto cittadino della sua vita precedente, lui granitico e solido, lei eterea e sognatrice.

Bea trova una sua dimensione, è finalmente appagata, ma la montagna esige sempre rispetto, e non è per tutti salvatrice; un incidente la scuoterà, un senso di pericolosa inadeguatezza spunterà in lei e la segneranno alcuni tradimenti di persone a lei vicine, così il rifugio diventerà una piccola trappola; ma una donna le indicherà una strada di nuova salvezza. “Le montagne sono donne immense, eppure tante portano nomi di uomini”

Aidala esordisce con un romanzo dalla equilibrata tensione narrativa, narrato con una prosa fluida e con una buona padronanza del fraseggio. La strangera si innesta con una certa dose di sicurezza nella narrativa di genere della montagna, forse qualche piccola sbavatura, qualche metafora un po’ audace, ma nel complesso un romanzo di formazione in cui il tema della fuga, dell’appartenenza e della ricerca dell’io interiore, sono le colonne portanti, o meglio, le montagne a cui andare incontro con estremo piacere.

Caterina Incerti