Il tempo scorre. È questo il leitmotiv che percorre tutta l’ultima parte del romanzo di Han Kang, La vegetariana (pp.177, Adelphi, euro 10). Il tempo scorre è un leitmotiv che percorre anche i nostri giorni, in questa surreale condizione in cui stiamo vivendo, il tempo, che a volte sembra non scorrere mai, scorre lo stesso. E noi, non possiamo fare altro che stare a casa, a guardarlo passare. Han Kang è nata in Corea del Sud, con questo romanzo ha vinto il Man Booker International Prize nel 2016, per la sua «sbalorditiva miscela di orrore e bellezza». È questa miscela che ha reso questa lettura, una delle più strane che abbia mai fatto. È un continuo mescolarsi tra sogno e realtà, tra stranezza mista a ingenuità e perversione. Tra ciò che è giusto e ciò che semplicemente non esiste.

Il titolo potrebbe essere ingannevole, potrebbe far pensare a uno dei romanzi della nuova moda vegan, ma non è affatto così, perché questo romanzo non parla del vegetarianismo. Il titolo La vegetariana è legato alla protagonista, che non è una semplice vegetariana, ma in un modo surreale e altrettanto realistico, tenta di diventare un albero.

Il romanzo è diviso in tre parti, al centro c’è sempre Yeong-hye e una particolarità è che la storia non è mai raccontata dal suo punto di vista. La prima parte è raccontata dal marito, è il momento in cui sua moglie, dopo aver fatto un sogno sanguinoso e destabilizzante, decide di diventare vegetariana. L’odore della carne, che fino al giorno prima aveva sempre apprezzato, le risultava fastidioso. Anche l’odore del marito per lei, sapeva di carne adesso. C’è tutta la quotidianità di una coppia che sta insieme perché sta insieme, c’è l’assenza di sentimenti, di emozioni, è la prima volta che il marito, dopo anni di matrimonio, si rende conto di non sapere nulla di sua moglie. È una parte narrativa un po’ lenta, partita da una tipica giornata della coppia e conclusasi con il ricovero di Yeong-hye in ospedale.

È la seconda parte ad essere la parte dell’orrore, più accattivante e, soprattutto, perversa, perché perversi sono gli occhi di chi la racconta, il cognato. Si scopre che da tempo provava impulsi sessuali nei confronti della sorella della moglie, la nostra protagonista vegetariana, e riesce a soddisfarli approfittando della sua debolezza mentale, attraverso disegni pitturati sul corpo, attraverso la falsa ipocrita comprensione. Per Yeong-hye tutto ciò che conta adesso ruota attorno al silenzio, alla natura. Non si tratta di una filosofia vegana, la protagonista ha bisogno di raggiungere la pace con se stessa e il mondo vegetale, di allontanarsi dalla violenza, dal sangue, man mano si avvicina al nuovo status, si spegne, lentamente muore. Nella terza e ultima parte la storia è raccontata da sua sorella, la vegetariana trascorre le sue giornate in un ospedale psichiatrico.

È qui che viene fuori il senso della storia, una storia di violenza e di orrore, di quanto la violenza possa influire sulla vita di una persona. Yeong-hye vuole raggiungere l’armonia con la natura, vuole trasformarsi in albero, i capelli diventano radici, le gambe non sono altro che rami in attesa della crescita di una folta chioma. La narrazione da parte della sorella spinge il lettore a chiedersi cosa sia meglio per lei, perché forse sta cercando di lasciarsi morire e forse, questa volta, la morte potrebbe essere il finale migliore per lei. E paradossalmente è forse qui che risiede la bellezza della storia, in Yeong-hye, nella sua via di fuga, nella sua trasformazione, nella sua stranezza, la pazzia che l’ha fatta rinchiudere in una clinica e che la spinge a rifiutare qualsiasi tipo di cibo perché può vivere, come le piante, di solo acqua e sole.

«Perché, è così terribile morire?» Da questa domanda tornano vecchi ricordi, riaffiorano alle mente vecchie violenze subite o non subite, tutto inizia ad avere un senso, in un certo modo. Il tempo scorre. È questo il file rouge della narrazione. Scorre il tempo, scorre la vita. E a volte, i momenti passati, sono soltanto sogni. E quando non c’è più tempo, ci si ferma senza tentare di correre contro corrente. E, intanto, la vita andrà avanti.

«La vita è così strana, pensa dopo aver smesso di ridere. Le persone, anche dopo che gli sono successe certe cose, non importa quanto terribili, continuano comunque a mangiare e a bere, ad andare al bagno e a lavarsi – in altre parole, a vivere. E a volte ridono perfino di gusto. E probabilmente hanno questi stessi pensieri, e quando succede si ricordano tutta la tristezza che erano riuscite per breve tempo a dimenticare».

Giusy Esposito