La verità è che nulla accade per caso.

Mai.

Tutto ciò che ci succede ha un significato e una ragione: secondo la teoria della sincronicità di Jung non esiste avvenimento che sia accidentale, la nostra vita è costellata di un insieme di quelle che siamo abituati a considerare coincidenze ma che non lo sono affatto. E questo libro lo mette in scena fin dalle prime righe: anche se sembra dire che siamo vittime dei capricci astrali, a loro modo co-protagonisti della storia, emerge poi a colpi di dialoghi serrati il legame non casuale tra i personaggi, il cui incontro non potrebbe mai essere frutto di una coincidenza.

La vendetta di Stravinsky non è un libro noir o una spy story, il titolo è in questo senso ingannevole, perché questa è la storia di destini che si incrociano, di incontri imprevisti ma non casuali che cambiano per sempre i protagonisti e le loro scelte di vita, mettendo in discussione anche quelle già fatte. Il tutto condito dalla passione per la musica che diventa elemento di incontro tra persone che appartengono a epoche e culture differenti, all’apparenza incomunicabili. Allora, potremmo dire che si tratta di un libro sulla sorpresa legata all’inaspettato, un libro sliding doors, fatto di avvenimenti imprevedibili che possono cambiare la vita di una persona in modo altrettanto imprevedibile. Un libro sulle seconde occasioni, sul
bisogno di riparare a ciò che è andato perduto, o almeno di provarci, spesso destinati a non conoscere mai l’esito dei nostri tentativi, senza però che questo impedisca di coltivare la speranza.
E Alberto Rossi, attraverso l’analisi delle storie di vita dei personaggi sembra volerci dire che bisogna necessariamente attraversare certe avversità per poter vedere compiuto il nostro migliore destino, capaci di tollerare la momentanea assenza di spiegazioni a ciò che accade. In particolare, nelle mani del fato ci sono Giovanni, ex professore in pensione ora bidello, e Francesca, impiegata poco più che trentenne e incinta a sua insaputa, ed è l’incontro, o forse sarebbe meglio dire letteralmente lo scontro che avviene tra loro, che le rivela questa novità. Poi c’è la scritta sul muro “Stefano ti amo…ti amo tanto. Tua Scricci”, deux ex machina degli eventi che si succedono in una vicenda favolistica e originale ma, proprio per questo, possibile.

Io credo che questo sia un libro sull’amore, forse, alla fine, tutti i libri sono sull’amore, e qui c’è una ricerca degli amori perduti e non realizzati, dell’amore che non brucia ma dura, e Giovanni, vero protagonista, afferma: “Siamo impreparati a tutto ciò che dura nel tempo, come appunto l’amore quando è vero. [I giovani d’oggi] amano, sì, ma a tempo determinato, a contratto a termine, senza un progetto, senza una fede, inchiodati a relazioni interinali e interscambiabili, prevalentemente part-time”. Forse per questo si dedica con così tanto affetto a Francesca, che fa parte dei giovani di cui parla, per insegnarle che amare è possibile, che l’amore le sta crescendo dentro, anche se “il pensiero che qualche cosa stia prendendo forma dentro la mia pancia mi sconvolge. […] un essere alieno mi è stato impiantato dentro da chissà quale astronave, un parassita che mi ruba tutto il nutrimento e si accresce a mie spese. […] E a quanto pare ha tutte le intenzioni di uscire fuori e incasinarmi la vita, come solo un extraterrestre sa fare”. Ma Francesca è bravissima a complicarsi la vita da sola ed è l’incontro con la dolcezza e la speranza mai doma di Giovanni che realizzeranno la possibilità di riconoscere l’astronave “padre” e realizzare quell’incontro del terzo tipo in cui lei non credeva ormai più.

Ci sono cose che si tengono dentro, aspettando che passino, che sedimentino, che perdano consistenza, cose che nascondiamo con cura dove poi ci dimentichiamo che esistono, e restano lì, non digerite, da qualche parte nell’anima. Poi viene il giorno che quello che non è stato digerito deve essere vomitato, espulso con la bocca. Con urgenza, altrimenti hai dei crampi terribili, e si deve raccontare agli altri ciò che finalmente diviene evidente a noi stessi”. Ecco l’importanza della parola, del dire e non trattenere, del condividere magari per provare a realizzare un’occasione perduta e risanare così un rimpianto. A un certo punto, uno dei personaggi ritrova l’amore che credeva perduto e dalla sua bocca esce probabilmente una delle più toccanti frasi d’amore che si possano leggere: “Sei tu il mio rimpianto”.

La semplice umanità dei sentimenti è alla fine il leit motiv di questa storia che si fa leggere dall’inizio alla fine con la sensazione di essere dentro qualcosa che richiede tutta la nostra partecipazione emotiva: una storia che non ci si può limitare a leggere, ma va vissuta.

Daria Ubaldeschi