Ci sono caratteristiche che determinano certe personalità.

Io per esempio ho poca pazienza, che nella sua accezione positiva indica la mia voglia costante di fare dire amare e baciare proprio nel momento preciso in cui mi viene in testa, senza attendere neanche un poco.

Nella sua accezione negativa, invece, vabbè.

Impazienza di leggere anche il libro che aspetti e che, per fortuna, è arrivato.

L’anno in cui imparai a leggere, di Marco Marsullo, edito Einaudi, è in libreria da ieri.

A casa mia da un pochino prima.

Ho terminato la lettura in camera di Giacomo, il mio quattrenne, perché spesso quel tappeto a quadrettoni colorati è il luogo migliore dove imparare ad essere paziente, una volta al giorno almeno.

E dove ricordare anche l’origine della propria natura.

“E poi tutte le risposte alle sue domande, continue e martellanti. Risposte che mi erano sembrate superflue, quando le sentivo pronunciare dai genitori tra gli scaffali dei supermercati, vicino allo scivolo di un giardinetto o alla fermata dell’autobus. Ma che, avrei imparato con grande stupore, erano necessarie. Tutte, fino all’ultima”.

Cosa può succedere se hai venticinque anni e una vita da venticinquenne e la ragazza di cui sei follemente innamorato parte e ti molla suo figlio e tu non sai manco da che angolazione si guardi un bambino?

“Era un giovedì pomeriggio qualsiasi di inizio settembre. Simona era via, ormai, da quasi una settimana. Con Lorenzo era tutto così nuovo, ogni giorno una scoperta”.

Che poi, diciamocelo tra di noi, anche quando li partorisci i figli, non è che tu sappia proprio proprio come fare, né quando crescono proprio proprio cosa dire, cosa lasciargli in quel bagaglio di esempio che poi sarà il più pesante e longevo regalo-zavorra nella loro vita. E pure nella tua.

Il padre naturale di Lorenzo, i suoi riccioli scompigliati e la sua chitarra stavano in Argentina.

Era riuscito a sedurre Simona dedicandole una canzone su una spiaggia di Malaga. Gli spermatozoi argentini avevano attecchito subito generando quel Lorenzo che ora stava lì, tra un ditino che indica la Luna, una domanda senza risposta e uno yogurt spalmato per terra.

Ché con i bambini diventa tutto più filosofico, ma anche più appiccicaticcio, pochi cazzi.

“Le famiglie sono una trappola a cui nessuno di noi può rinunciare. Le famiglie si distruggono, spaccano le vite a metà, si ricostituiscono. Si autogenerano senza che ce ne accorgiamo, sono un sistema istintivo di sopravvivenza”.

Un nido e una gabbia. Una coccola e una fuga.

Tutto bellissimo, potente, inaspettato e a tratti ingestibile.

Come l’amore. 

Credo.

La scrittura di Marco arriva così: bella, potente, ironica e malinconica.

Mentre leggevo ci ho visto pure pezzetti del suo sorriso beffardo sotto la barbetta rossa, ma questo forse solo perché lo conosco un poco.

Mi piace pensare che ognuno di voi possa trovarci qualcosa. 

Quando si scrive di frammenti di vita è così che succede.

“Serrai le palpebre e provai a addormentarmi. L’alito tiepido di un bambino sul viso era la mia ninna nanna, il solletico un tempo fastidioso che, piano piano, si era trasformato nel mio stesso respiro. Giorno dopo giorno, io ero diventato questo”.

E io pure.

Natalia Ceravolo