Nel 1913, l’ormai nota Amalia Guglielminetti pubblicò L’insonne, la sua quarta raccolta poetica dopo Voci di giovinezza (1903), Le vergini folli (1907) e Le seduzioni (1909). In essa, la critica volle riconoscere la voce di una poetessa sempre più attenta all’apprendistato erotico femminile, che aveva nel convento una tappa, in vista del vincolo matrimoniale, oppure una mèta più o meno desiderata. L’allenamento affettivo delle convittrici e delle novizie poteva anche significare omosessualità, come la stessa Guglielminetti suggerisce nella lirica All’amica folle:
Giovine amica folle, che hai grand’occhi e piccoli denti
e ondeggiamenti lenti di serpe che snodisi molle,
come il male acre in quella tua grazia selvaggia, fu accolto?
Perché t’arde lo stolto fervore di Saffo, la bella?
5 Tu fra le lunghe ciglia frangiate mi avvampi un baleno
di riso avido, pieno d’un’ambigua meraviglia.
Ah no, leggiadro mostro, quell’ibrido ardor curioso
non morde a cuor già roso da un altro più cupido rostro.
Vano, amica, tentarmi. Io cedo a lusinghe diverse,
10 io voglio l’armi avverse dissimili dalle mie armi.
L’amore è un’armonia perfetta in ciascuna sua parte;
chi lo esaspera ad arte in un tristo gioco s’oblia.
Di quella Saffo che le recensioni avevano evocato per celebrare le qualità poetiche di Guglielminetti, l’autrice ricorda il nesso con l’amore lesbico: l’«amica folle», come un serpente tentatore, ostenta una «grazia selvaggia», un’«ambigua meraviglia» di bellezza che però rivela un «male acre», un «leggiadro mostro». L’io lirica, invece, si professa di altro orientamento e, in maniera volutamente stereotipata, inneggia alla complementarità dell’amore, che solo nell’unione tra maschile e femminile troverebbe «un’armonia perfetta», non basata sull’artificio. In realtà, si sa che Guglielminetti ebbe almeno una relazione lesbica, con una donna di Nizza.
In anni in cui, dopo la nascita della psichiatria, della psicoanalisi e dell’endocrinologia, l’omosessualità subiva le più svariate e fantasiose medicalizzazioni, Guglielminetti sembra volersi distanziare da un’associazione in cui lei stessa si era trovata coinvolta. Riscatta Saffo – non la brutta della leggenda, arrivata fino a Leopardi, ma «la bella» – eppure proclama la propria preferenza per «lusinghe diverse». Le relazioni omosessuali femminili, il «tribadismo», grande tabù della storia della cultura e della letteratura, erano state immortalate in romanzi e racconti, ma attraverso sottintesi e reticenze, ambientate nel mondo dell’arte (si vedano Marion artista di caffè-concerto di Annie Vivanti, del 1891, le performance scandalizzanti di Colette e Missy, che si baciarono pubblicamente su un palco di Parigi nel 1907) oppure, nel caso di autori, messe al servizio del piacere e dello sguardo maschile (come la Lucia parodiata da Guido da Verona nei suoi Promessi sposi, 1930). Meno attrezzati siamo (ma le carte processuali cominciano a parlare laddove le «amicizie folli» erano perseguitate) su come, nel quotidiano, e non solo nelle alte sfere o tra le artiste, erano vissute tali relazioni.
Le cose stavano cambiando, come dimostrato dai romanzi Perfidie di Mura e Il passaggio di Sibilla Aleramo, entrambi del 1919. Nel 1925, Guglielminetti incontrò a Parigi la scrittrice lesbica Natalie Clifford Barney e nel 1928 uscì Il pozzo della solitudine di Radclyffe Hall. Guglielminetti e i suoi editori seppero intercettare il cambiamento in atto e, nel 1923, diedero alle stampe il romanzo La rivincita del maschio. La sua protagonista, Nora, formatasi in un collegio svizzero, ha con la compagna Elsa le prime (e uniche) soddisfacenti esperienze affettive e sessuali. Si potrebbe confinare la loro relazione nella inevitabile «fase» adolescenziale di apprendistato erotico prima del matrimonio se non fosse che, da adulta, Nora ricorderà il rapporto con Elsa (in seguito deceduta) come profondamente gratificante e invocherà il suo aiuto per vendicarsi del «maschio» che si è preso gioco dei suoi sentimenti.
La Nora di Guglielminetti, omonima dell’eroina di Ibsen, riconosce nel proprio corpo, pure sessualizzato, uno strumento di emancipazione, di riscatto. «Dal suo grembo, dalla sua matrice, dal suo sesso» Nora trarrà quella «forza magnetica» necessaria ad affermarsi come soggetto contro chi desiderava oggettificarla.
Non è il caso di fare altro spoiler sulla trama. Basti dire che il romanzo, nella seconda edizione, del 1928, in un clima politico e culturale reazionario a causa del consolidato regime fascista, fu portato in tribunale. Guglielminetti ne uscì assolta ma provata, anche perché si era già trovata impelagata in vicende giudiziarie torbide con la famigerata spia Pitigrilli (lo stesso che, nel 1934, avrebbe fatto arrestare il gruppo torinese antifascista di casa Levi, tra cui Leone Ginzburg).
Guglielminetti, insomma, seppe forgiare personagge e relazioni esponendosi ad accuse, processi, censure. Benché non si possa vedere in lei un’attivista civile, dai suoi versi e dalla sua prosa, oltre che dalla sua biografia, emerge una visione sfaccettata dell’Italia del tempo, che, sotto il peso del fascismo, fu costretta a rinunciare ai colori per tingersi di un’unica, ferale tinta.
Johnny L. Bertolio
E tu cosa ne pensi?