
Anno 0 | Numero 2 | Ottobre 1996
Le città invisibili è un libro nato un pezzetto per volta come raccolta di relazioni di viaggio che Marco Polo fa a Kublai Kan, imperatore dei Tartari. Calvino fa intraprendere ai due protagonisti un cammino onirico e atemporale attraverso città mai esistite o forse esistite solo in parte nel nostro immaginario, dando alle riflessioni la struttura di episodi sospesi. Ogni città ha un nome di donna, vi si arriva da lontano e quasi sempre da sentieri secondari. Rari gli orologi e i dialoghi con gli indigeni. A volte le descrizioni si soffermano su dettagli trascurabili, altre volte le pagine si riempiono di parole ridondanti, ma il tutto si esaurisce in poche righe. L’assurdo, la pazzia, la morte ci vengono in mente, indotte dai racconti apparentemente distaccati del viaggiatore narrante. Ci sentiamo imprigionati in una circolarità ossessiva: parecchie volte infatti abbiamo la sensazione di essere già stati in un determinato posto. Tanto che anche il Kublai Kan si insospettisce circa la veridicità dei racconti stessi. Ma: leggete di Zobeide, della struggente visione che è all’origine della sua fondazione. Percorrerete le vie di Adelma, la città di coloro che abbiamo perduto per sempre. Scoprite il paradosso di Sofronia ove solo il parco giostre e le tende del circo sono definitive e inamovibili. Incontrate la splendida Diomira dove, nelle sere di settembre, ci è concesso dolorosamente di rievocare una felicità astratta e lontana. Ammirate le palafitte di Bauci uguali alle lunghe gambe di un fenicottero. Allora, dobbiamo diffidare e dare a tutto questo l’appellativo di finzione e menzogna? A noi, come al Kublai Kan, dopotutto interessa assai poco sapere se i minareti e le cupole che emergeranno dal deserto rosso di qui a poco saranno fantasia, miraggio o realtà. Riconosciamo all’immaginazione l’ultima parola. C’è da continuare il viaggio, c’è da sognare ancora intorno a queste nostre città invisibili, invivibili, meravigliose.
Maurizio Majelli