Le ombre di Zabus e Hippolyte è un racconto attuale ai giorni nostri, ma anche in tutte le epoche passate.
Travolgente, che ti fa sbattere contro la dura realtà delle avversità e delle difficoltà che un uomo affronta quando è obbligato a lasciare il proprio paese per sopravvivere.
Tutto ciò viene affrontato dall’autore per mezzo di allegorie fantastiche.
Durante il suo viaggio, il profugo, dovrà affrontare la fame, lo sfruttamento, la violenza, la malattia, ma soprattutto la paura che dall’altra parte le aspettative non vengano soddisfatte.
Parte scappando da una guerra e dalla violenza che questa porta con sé. Il protagonista, che è in giovane età, dovrà crescere in fretta per permettere a sé stesso, ma soprattutto alla sorellina di sopravvivere. Si imbatterà anche in questioni irrisolte del passato che dovrà affrontare e superare nonostante cerchi di fuggire anche da queste.
Quando il protagonista giunge finalmente a destinazione gli viene chiesta la sua storia, un’ennesima prova da affrontare per poter trasformare il numero 214 che gli viene assegnato in un nome. Il dubbio, però, lo assale: raccontare la realtà e rendere onore alla sua vita e a quella dei suoi compagni di viaggio o mentire nella speranza di un futuro migliore?
Si rende conto che è suo dovere raccontare la sua storia, ma soprattutto quella dei suoi compagni, perché questo è l’unico modo che ha per tenerli ancora in vita.
L’uomo è fatto di ricordi, quando muore i ricordi muoiono con lui.
Tutti noi abbiamo delle ombre con cui dobbiamo fare i conti e che sono la ragione per cui affrontiamo il mondo.
Tramite le immagini e i colori la storia si arricchisce di emozioni e il lettore empatizza con il protagonista: si immerge nella sua sofferenza, nella sua paura del futuro, nella diffidenza e nella lotta per la sopravvivenza.
“Quando un uomo scappa dal suo paese, è sempre per cercare una vita migliore… Ma la strada è lunga e difficile. Si consuma talmente per sopravvivere, che dimentica perché è partito, cosa cerca e anche chi è.
Rimane soltanto un corpo che cammina.”
Questo libro è una lotta continua alla ricerca della vita ma la vera domanda che ci poniamo alla fine di questa storia è una sola: il profugo rimarrà solo un numero tra tanti o la sua vita sarà stata abbastanza per essere ascoltata?
Alessio Cirlincione
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