Anche se si tratta di una scelta limitata di poesie scritte da donne irlandesi, Dopo Lungo Silenzio: Poesia Irlandese Contemporanea (Tr. Giovanna Iorio, Mobydick, 1997, pp. 149) presenta ai lettori italiani un corpo di esperienza poetica finora trascurato. Ci sono le poetesse affermate come Eavan Boland, Medbh McGuckian, Eiléan Nì Chuilleanain, e la celebre poetessa in lingua gaelica Nuala Nì Dhomhnaill, così come le poetesse Rita Anna Higgins, Paula Meehan, Mary O’Malley e Maya Cannon, che malgrado siano ben note in Irlanda, solo di recente stanno consolidando una fama internazionale. Nella raccolta si esibiscono le varie estetiche della scrittura femminile. Al rischio di incorrere in una semplificazione, si può annoverare la scrittura postmodernista di McGuckian, la simbologia mitologica di Nì Dhomhnaill, la sedicente trappola dell’immaginazione di Nì Chuilleanain, i versi politici e aggressivi di Higgins e di Meehan, le miniature di Cannon, le audaci e autocoscienti teorie innovatrici di Boland. Naturalmente, ognuna di queste poetesse si muove da una categoria all’altra nelle varie poesie, e il significato della teoria estetica di ciascuna trascende il sesso.

Per la maggior parte della sua opera più matura, Boland ha cercato di inscrivere l’identità delle donne all’interno di una tradizione poetica che ha sempre visto le donne come oggetti di aspirazioni politiche o erotiche (impersonanti la figura di Mother Ireland o comunque la bellezza da colonizzare). Ha pensato di immaginare una donna rappresentativa per cui poter scrivere, e così di stabilire un registro poetico che altre donne possano riconoscere come centrale alla loro esperienza. senz’altro un’impresa ambiziosa che ha suscitato sia critiche che entusiasmi, e non solo in ambito femminista. In Cammeo di Lava, una poesia scritta per sua nonna (la proprietaria del cammeo che «morrà in un reparto isolato»), Boland si dichiara risoluta a registrare la storia delle donne tragicamente negletta: «Ti prego. / Guardami. Voglio dirle: mostrami / la crudeltà di un’arte che può / arrestare un profilo in un flusso infernale/ /Incidere la catastrofe».

McGuckian, d’altro canto, anche se personalmente ammette il suo debito alla poesia di Boland, attua la propria sovversione ad un livello più sotterraneo e, provenendo dall’Irlanda del Nord, la politica dei suoi versi, così come la loro obliquità, è diretta a una serie di strutture settarie di potere. In Fumo sente da una parte la minaccia che certe forze naturali nella campagna (come il fuoco appiccato dai contadini per distruggere le erbacce) possano sfuggire al controllo umano, e dall’altra l’attrazione per i risultanti poteri di distruzione e creazione. La convergenza della questione sessuale con la questione nazionale è nel fumo fulvo [che] si ferma sulla terra». Queste due poetesse rappresentano i poli della pratica poetica femminile. In tutte le altre poesie della raccolta vi è una tale schiera di temi, una tale polifonia di argomenti, come la traduttrice stessa sostiene nella prefazione, che per motivi di spazio non posso che menzionare alcune delle tante caratteristiche.

Vi è l’atteggiamento sfrontato di Higgins, che in una poesia come Alcuni desidera richiamare l’attenzione sulla vita degli emarginati di una società che li ignora. La Higgins protesta che Alcuni lo sanno cosa si prova», ed elenca una lunga serie di insulti associati alla povertà, semplicemente terminando con l’osservazione ed altri no». Vi è il lirismo elegiaco della Ninna Nanna di Meehan e le ingegnose intuizioni della sua poesia intitolata Frutto, in cui ci rivela come, in qualità di poetessa, deve venire a patti (estetici) con la figura di Eva e in particolare con la trasgressione del femminile. Il seno di una statua di Venere la tenta a toccarlo, e lei, toccandolo, vede come è freddo / e pesante nella [sua] mano». Cannon rivela un’attenzione per i dettagli tipica del naturalista, come quando descrive il remo che preme / contro l’onda / e con l’onda / è tutto». Il suo acuto senso del luogo presenta ai lettori italiani un fedele acquerello del paesaggio irlandese, dalle colline blu scuro» al rosso dell’erba che cresce sulle alte paludi», dal buio dell’inverno» agli appassionati chiarori e oscurità / dei laghi», con quegli stessi contrasti di toni che rendono l’esperienza della natura in Irlanda così inebriante. La poetica di Nì Chuilleanain è profondamente volta a contenere la violenza storica della
vita in queste isole nordiche. La sua attenzione si rivolge alle lacune nel sapere più che ad oggetti che possano contenerlo. I suoi temi variano: da un uomo che s’invaghisce della figlia del macellaio a una donna che ha subito una mastectomia. Ne Lo Studio del Linguaggio spiega elegantemente perché «Chiamo tutto questo il mio lavoro, queste decadi e stazioni- / Perché senza di esse, qui sarei straniera». Rispetto alla poesia di Nì Dhomhnaill, il lettore italiano è due volte distante dalla lingua originale, poiché l’opera della poetessa in lingua gaelica (irlandese) è stata tradotta in italiano da traduzioni inglesi già esistenti. «Affido la mia speranza all’acqua / a questa piccola imbarcazione / del linguaggio, nel modo in cui uno sconosciuto le affiderebbe / un infante»: una fragilissima imbarcazione simboleggia la levità e al contempo la caducità del linguaggio, a cui Nì Dhomhnaill affida la sua creatura profetica, ma l’esuberanza della sua voce e l’inventiva delle sue metafore è prova sufficiente della forza della sua poesia. Infine, vi è Mary O’Malley. Avendo eletto una delle sue poesie a rappresentare il volume, lascio che si commenti da sola:

Prayer
Let my breath rise.
From the gilded contours of the hills,
from the boiling sea,
from the rock of Slyne Head
let the light mesh with wind
and quench hell for me.
That a seventh wave
may pitch and toss and carry me
senseless through the coming storm
but if I am to drown
drink me deep.
Do not take me on the undertow
but rising the steep
green plane of inhalation,
poised to whisper a name,
a plea, a floating incantation.

Preghiera
Fa che il mio respiro sorga.
Dalle curve dorate delle colline,
dal ribollire del mare,
dalla roccia di Slyne Head
fa che la luce si impigli al vento
e per me spenga l’inferno.
Che la settima onda
mi sollevi e trascini e trasporti
priva di sensi nell’imminente tempesta,
ma se devo annegare
allora bevimi a grandi sorsi.
Non prendermi nel risucchio
ma ascendendo il ripido
verde ripiano dell’aspirazione,
pronta a sussurrare un nome,
una supplica, un fluttuante incantesimo.

Traduzione di Giovanna Iorio

Jeff Holdbridge