Secondo un’immagine di leopardiana memoria, la ginestra paziente cresce sui fianchi vulcanici. Questa volta, però, non siamo sul Vesuvio e il fiore non assume il ruolo di fragile monito, richiamandoci all’umiltà; ci troviamo invece sui fianchi dell’Etna e la presenza che sentiamo è quella di Leonardo Sciascia, secondo cui la pianta poetica, adattata alla terra di Sicilia, diventa una promessa: «Sta lì a disgregare primamente la durissima e compatta crosta della lava, preparandola alla disgregazione del piccone e della zappa, al lavoro tenace e paziente dell’uomo, alla coltivazione, alla “cultura”. Non ‘contenta dei deserti’, l’odorosa e lenta ginestra, ma del deserto nemica. Alleata dell’uomo, amica della fatica umana». Sono parole provenienti dal saggio I paesi dell’Etna, parte della raccolta di testi critici Cruciverba, del 1983.

Il titolo dell’opera deriva dall’idea di incrociare argomenti diversi su ideali orizzontali e verticali – creati dalle conoscenze e dallo studio dell’autore – che mostrino punti di contatto imprevisti o possibilità di sviluppo ulteriore. Qui la Sicilia si pone spesso come chiave di risoluzione del gioco: l’isola è l’oggetto di studio privilegiato dell’autore, che lavora su carte e documenti, consultati sempre con passione vivace per ricavarne memorie preziose. Nel saggio citato in precedenza, per esempio, eventi storici, geografici e socio-antropologici concorrono a costruire una descrizione accurata e sfaccettata della zona etnea e della sua popolazione, fino a giungere all’essenza – mitica, genetica – dell’intera terra di Sicilia, racchiusa nell’immagine della ginestra menzionata in apertura.

Questo è l’intento principale di Sciascia, perseguito qui come altrove. Non a caso, nel tentativo di correggere la fama di “mafiologo” che il pubblico aveva costruito a partire dai suoi romanzi-inchiesta, lo scrittore si definiva «uno che è nato, è vissuto e vive in un paese della Sicilia occidentale e ha sempre cercato di capire la realtà che lo circonda, gli avvenimenti, le persone. Sono un esperto di mafia così come lo sono in fatto di agricoltura, di emigrazione, di tradizioni popolari, di zolfara» (da un articolo del 1982 per il Corriere della sera). Lo scrittore si pensava innanzitutto come un esperto dell’isola, dunque, osservata da ogni prospettiva possibile: valorizzata nei suoi angoli dimenticati, ma ancora carichi di significato, e messa a nudo senza esitazione nei suoi lati più oscuri e negativi.

Oltre che dalla ricerca d’archivio, la competenza sciasciana dei luoghi e delle storie di Sicilia deriva naturalmente dall’esperienza diretta, dal bagaglio di ricordi personali. Il ricordo è un tassello fondamentale nel sistema dello scrittore, che, non a caso, nel 1979 ideò per la casa editrice Sellerio la celebre collana La memoria. Dietro di essa, come ci suggerisce una nota di presentazione alla serie, sta la consapevolezza che «uno dei più evidenti e gravi difetti della società italiana, e quindi di tutto ciò che – dalla cultura al costume – ne è parte, sta nella mancanza di memoria. Forse per la quantità eccessiva delle cose che dovrebbe contenere, la memoria si smarrisce, si annebbia, svanisce. Tutto sembra, come la rosa del poeta, vivere lo spazio di un mattino. E sarà magari perché si tratta di spinosissima rosa». La memoria concepita come replica alle ingiustizie e alle dimenticanze della realtà, dunque.

L’atto del ricordare modella in profondità il modo di ragionare di Sciascia e ciò si nota perfettamente all’interno delle pagine di Cruciverba, le quali – è bene sottolinearlo – non sono dettate da un mero campanilismo o un polveroso interesse per il passato e, anzi, sono rivolte all’attualità e all’Italia tutta, anche quando parlano esclusivamente di Sicilia o di avvenimenti lontani nel tempo. Per persuadersene, bastino le parole dirette dell’autore scritte in un altro insieme di saggi, La corda pazza (1970): «la cultura siciliana ha avuto sempre come materia e come oggetto la Sicilia: non senza particolarismo e grettezza, qualche volta; ma più spesso studiando e rappresentando la realtà siciliana e la “sicilianità” […] con una forza, un vigore, una compiutezza che arrivano all’intelligenza e al destino dell’umanità tutta». Quindi non sorprende che nei saggi sciasciani si ritrovi la Sicilia all’interno di pagine apparentemente lontane per argomento.

Per esempio, l’ultimo saggio di Cruciverba, Parigi, delinea la storia della progressiva acquisizione di conoscenze sulla capitale francese da parte del giovane Leonardo, a partire dall’infanzia passata a Racalmuto, dal maestro elementare che rivolgeva ai propri studenti un enigmatico e favolistico rimprovero: «A Parigi, i cani chiudono la porta con la coda»; si passa, poi, attraverso lettere inviate da un compaesano emigrato, scene di film, cartoline erotiche scambiate di sfuggita tra compagni di scuola, giungendo fino alle prime letture francesi, Diderot e Hugo: da ognuno di questi frammenti di memoria siciliana affiora via via un’immagine diversa della città, che va a sovrapporsi a quelle precedenti. Anche quando, nel 1955, l’autore visita per la prima volta Parigi, l’aria dell’isola natia non lo abbandona e la capitale si fa città e paese insieme: «La prima volta che sono capitato a piazza Pigalle […] mi ci sono trovato come ad una festa di paese, una di quelle feste che i paesi siciliani dedicano ai santi patroni. […] C’è sempre quest’aria di festa paesana, a Pigalle. Ma un po’ dovunque, a Parigi». La metropoli francese e l’isola mediterranea, dunque, si manifestano nella scrittura di Sciascia attraverso una serie fitta di immagini del passato, creando un raffinato cruciverba, appunto.

I ricordi – documentari e personali – costituiscono un robusto filo conduttore tra i testi di Cruciverba, ma sono anche la forza che motiva l’intera attività intellettuale e letteraria di Sciascia, perché lo scrittore, consapevole di poter abitare la realtà solo con difficoltà, a causa delle storture del presente che sempre si incontrano, sa che il lavoro della memoria potrà sempre venirgli in aiuto.

Dario Giolito

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