L’evento (L’orma, 2019, traduzione di Lorenzo Flabbi) è il titolo dell’ultimo libro di Annie Ernaux. Da un punto di vista puramente etimologico la parola evento riporta a “ciò che è accaduto” e la Ernaux tiene fede a tale assunto raccontando la storia dolorosa di Annie, una studentessa ventitreenne di Rouen che, nel 1963 in una Francia risolutamente antiabortista, decide di abortire. Senza aver bisogno di aggettivi che ne addolciscano o imbestialiscano ulteriormente il significato, tale sostantivo, categorico e ineluttabile, determina lo sviluppo della vicenda e lo stile con cui essa viene narrata.

La Ernaux, in questa ulteriore prova della sua immensa maestria letteraria, interpella la propria memoria impedendole, come nel peggiore degli interrogatori, di sfuggire al minimo dettaglio che possa allontanarla dalla realtà di quei giorni vissuti sulla propria pelle:

Da anni giro attorno a questo avvenimento della mia vita.

E poi ancora:

Voglio tornare a immergermi in quel periodo della mia vita, sapere ciò che è stato trovato lì dentro. Questa esplorazione si iscriverà nella trama di un racconto, l’unica forma in grado di rendere un evento che è stato solo tempo all’interno e al di fuori di me.

Dopo tali premesse, per la Ernaux ha inizio un viaggio di ricostruzione dell’evento attraverso alcune laconiche annotazioni trovate sull’agenda di quegli anni mentre per il lettore prende il via un percorso di compartecipazione con l’autrice, protagonista assoluta, in questa opera di crudo disseppellimento di un’esperienza indimenticabile del passato.

Annie si ritrova incinta e sola, in giovane età e, senza alcuna esitazione, decide di abortire:

La decisione di abortire non mi spaventava. Mi sembrava una cosa, se non facile, per lo meno fattibile, che non richiedeva nessun particolare coraggio. Una prova come altre. Bastava seguire la strada sulla quale legioni di donne mi avevano preceduta.

Al lettore viene dato il privilegio di assistere a questa peregrinazione verso l’evento in cui la trasformazione della realtà di Annie procede di pari passo con quella del suo corpo. Gli incontri con amici in apparenza disponibili ma disinteressati, confidenti sbagliati, medici timorosi di aiutarla e fidanzati respingenti si susseguono senza tregua, contrassegnando in modo indelebile un periodo, per lei, di necessaria esclusione dal mondo della seduzione e della spensieratezza.

Il giudizio su se stessa, cui contribuisce la perentorietà della Legge vigente al tempo, prende il sopravvento e le farà dire a un certo punto della narrazione:

Dentro di me ero diventata una delinquente

La pratica dell’aborto non poteva essere nemmeno nominata in quegli anni tanto che Annie faticherà non poco a trovare, seppur illegale, una strada per attuare il suo proposito. Noi, leggendo, abbiamo la sensazione di tenerle la mano in questa selva di ostacoli e brutture che il sistema medico-legale di quegli anni inevitabilmente impone ma in realtà lei è sola. Ed è questa sua solitudine che sembra dar voce a un più globale senso di abbandono e paura provato da tutte coloro che nel corso della storia hanno esercitato il proprio diritto di scelta nell’ambito della nascita, sfidando le condanne sociali.

L’andamento ieratico, a tratti sacrale, della scrittura restituisce, attraverso la cruda descrizione di una vicenda intima, l’universalità di un tema che riguarda tutti, uomini e donne, ma al cui interno compaiono in prima linea loro, quelle che la Ernaux designa come:

Le donne che si sono date il cambio al mio fianco, donne che con il loro sapere, le loro azioni, le loro decisioni efficaci mi hanno fatto attraversare al meglio, per quanto possibile, questa prova.

Da questo romanzo si esce con un inevitabile senso di contusione in cui l’esposizione del corpo di Annie è paritaria a quella del giudizio a cui è stata sottoposta non solo nella sua cerchia di conoscenze ma, soprattutto, all’interno del sistema sanitario che, ad un certo punto, verrà coinvolto nella sua situazione. In alcune pagine, l’autrice giunge ad un livello talmente profondo di memoria che la violenza e la ferocia delle sue descrizioni potrebbero suscitare reazioni indignate ma questo non accade perché il grado di verità in tutto il libro è talmente alto che addolcire o attenuare la crudezza inevitabile di alcuni passaggi parrebbe inverosimile.

Il falso moralismo non è contemplato dalla giovane Annie così come il senso di colpa; l’autrice sembra sedarlo con la scrittura dell’accaduto a cui ognuno di noi sarà poi libero di conferire il proprio personale senso.

Annie Ernaux mi incanta da anni con i suoi libri per la sua capacità di fondere vita e scrittura in un magma compatto ma allo stesso tempo naturale e scorrevole e, in questo breve ma intenso romanzo in cui mette in parole un’esperienza umana totale, della vita e della morte raggiunge, a mio modesto parere, uno dei suoi massimi apici.  Ringrazio lei e la giovane Annie per aver restituito con pienezza e coraggio una storia che rappresenta una memoria corale fatta di circolarità tra vita e morte, di recupero doloroso della memoria e inevitabile rinascita.

Ombretta Brondino