«Sono caduta tante volte, eppure eccomi qua, in piedi, che ti scrivo. Anzi ultimamente sono venuta alla conclusione che le persone che non cadono, in realtà è perché non stanno in piedi».

Ci siamo lasciate suppergiù così, io e Goliarda Sapienza. Era uno degli ultimi articoli che le avevo dedicato, dopo aver preso L’arte della gioia come una crociata personale fin dai tempi della sua pubblicazione per Stampa Alternativa. Due anni fa, quando ne ho scritto per l’ultima volta raccontavo di “lenzuoli” da stirare, odore di limoni, la pace che si prova cadendo: se si cade è perché bisogna rialzarsi. Si parlava di uno sguardo sulla scrittura “alla Goliarda” che avevo nominato: Alle cadute di tutte le guerre. Ora ritrovo, da qualche settimana, Goliarda Sapienza in libreria grazie a La Nave di Teseo che ha pubblicato Lettere e biglietti, un epistolario inedito della scrittrice siciliana. Il libro è curato da Angelo Pellegrino, l’uomo con cui ha condiviso amore e parole fino al 1996, anno in cui Goliarda morì a Gaeta.

«Credo di fare la felicità dei suoi lettori pubblicando questo epistolario dove si potrà ascoltare quella che possiamo chiamare la quarta voce di Goliarda, dopo quella dei romanzi autobiografici, dell’Arte della gioia, dei Taccuini. È la voce che esprime maggiormente il suo bisogno di comunicazione attraverso una quasi strenua chiarificazione delle idee e degli affetti. Le sue lettere infatti non hanno mai un carattere pratico, com’è spesso dell’ordinaria corrispondenza, ma sono sempre dettate dall’esclusivo bisogno di trasmettere un modo di pensare e di essere, insieme a un modo d’amare.»
Scrive così nella prefazione del libro, Pellegrino. Posso già dargli ragione: sì, mi hai fatto felice.

Il libro raccoglie lettere e bigliettini sparsi che Goliarda aveva destinato a Citto Maselli (suo primo amore e compagno), una serie di registi e amici e colleghi che spaziano dal mondo del cinema a quello della cultura e alle amiche, alle sue donne. Le donne di Goliarda hanno Sapienza dentro, come un segno distintivo, un dna. Pur diverse tra loro, attraverso le parole di Sapienza si comprende che le considera rami dello stesso albero, vite che nascono dallo stesso ceppo.

«Solo essendo donne così come la natura ci ha voluto possiamo trovare la strada per esprimerci e tu sei donna in tutte le cose positive e ricche che questa parola racchiude e sono sicura che troverai la tua espressione presto, sicura di te come tu eri sicura di me.»

Il ceppo delle donne che osservano il mondo mentre cadono. Se c’era una risposta concreta alla mia idea fantasiosa di fondare un movimento letterario “alle cadute di tutte le guerre” questa è dentro le lettere che la scrittrice rivolge in particolare alle ragazze, signore, conoscenti e perfino a Marta Marzotto alla quale Goliarda deve la “sponsorizzazione” di un libro, dopo l’esperienza di Rebibbia.

Le lettere di Goliarda alle sue donne raccontano una scrittrice oltre lo specchio. Forse l’unica scrittrice italiana (quasi) contemporanea in grado di raccontarsi andando oltre lo specchio. «Non ti preoccupare del mio viso, non ho specchi e questo mi permette di dimenticarlo. Adesso è come se avessi i lineamenti che piacciono a te

Nelle lettere, le donne a cui scrive le ama come pezzi del suo corpo. Più volte apre o chiude le missive con dimostrazioni d’affetto viscerali che hanno più irruenza di quelle rivolte agli uomini: “ti sono amica e che farò tutto (qualsiasi bassezza) per conquistarmi il tuo affetto”; “Goliarda che ti adora sempre sempre sempre sempre”; “Ma noi, per carità, amiamoci”; “Ti amo”.

La confidenza sentimentale, tipica degli epistolari seppure così pregiati come questo, non regge le quinte della scrittrice Goliarda ma della donna Sapienza. Quella che non scrive per fare l’originale, la strana, la diversa, la tipa. No, per essere Goliarda Sapienza e nonostante le difficoltà andarne fiera. Alle donne abbandona le sue cadute, delle quali spesso si scusa essendo cause indirette delle sue frequenti sparizioni: tristezze e malumori, mancanza di fiducia e uno stato di autarchia letteraria, la scombussolano spesso.

«Sono stata male e questo non sarebbe niente, ma il male di questo mio stare male è che quando sto male cado in un mutismo che dall’odio che suscita in me stessa – contro me stessa – mi è facile dedurre il disagio, o almeno la perplessità, che suscita negli altri (nota che dico: gli altri per il “pudore” alquanto… di marca siciliana, di non dire: a chi mi vuol bene!) Scusami. Ora sto bene.”

Goliarda ama le sue amiche, le rispetta e si sente spesso in colpa perché non riesce a essere quella che oggi si dice “donna multitasking” (e questa è la sua bellezza).

«Per spiegarti meglio: a volte, specialmente quando sono stanca, mi lascio vegetare malinconicamente come una biscetta al sole.» O ancora: «Sono una bestia. Mi butto in terra e chiedendo perdono vi dico… SONO UNA BESTIA. Ogni giorno penso di scrivere e ogni giorno mi lascio trascinare dal ritmo insensato di queste ORE ROMANE e mi ci perdo come una gallina qualsiasi. Almeno facessi l’uovo!»

Conoscere questa scrittrice attraverso le parole che rivolge alle sue amiche può riaprire alcune ferite personali, pur non avendo con la scrittrice nulla a che fare. Le ferite di quando ci si mette davanti allo specchio e si codifica l’immagine che ci propone il riflesso, senza mai riconoscerla. Mancanza di autocompiacimento e tenace consapevolezza di sé. Basterebbe ricavare queste due lezioni per nutrirsi delle lezioni di scrittura, e di vita, di Sapienza.

«Siciliana + Cattolica + Astratta + Senza il senso del tempo + Isolana + Egoista (da solo 3 anni, da quando lavoro per me) + Poco espansiva + Poco gelosa (meno che in amore carnale fra uomo e donna).»

Chi ha letto le sue opere di narrativa, ritroverà nelle lettere le impronte lasciate oltre lo specchio dalle donne che sono finite nelle sue storie, comprese quelle di cui aveva lei stessa un terrore reverenziale fino alla cara Bambolina, la sua gioia:

«Bambolina cara, solo due righe – una piccola telefonata? – per dirti col linguaggio dei contadini: che ti penso sempre… nei momenti che quegli addannati personaggi del romanzo mi lasciano. (…) Romanzi o non romanzi oggi vicino al mare era qualcosa di straordinario da vivere. Ero sola e come ho potuto, pensando a te, ho cercato di comunicarti la bellezza e serenità che tu sai capire. Pochi oggi sanno di silenzi di primavera, di scogliere deserte, di voli di gabbiani. E se mi sentissero sorriderebbero sussurrando “sciocca sentimentale”. È così, non sono che una sentimentale affezionata fino all’impossibile a qualcuno che, come te, ancora capisce.»

La celebre frase, retorica eppure salvifica, attribuita alla qualunque: “la bellezza è negli occhi di chi guarda” in questo libro ripristina il senso della bellezza e dello sguardo che su di essa si posa. In Lettere e biglietti si legge la vita di una donna che guardandosi allo specchio ammira ciò che non si vede direttamente, ne riconosce la bellezza, la salva e poi si mette a scrivere.

Alessandra Minervini

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