Il narratore degli sconfitti irriducibili, l’autore di racconti dove girano personaggi disincantati  e carichi di dignità ironica e orgogliosa, l’appassionato amante di cinema che collocava il suo spirito tra Chandler e Monicelli, aggiungendo un po’ della furia di Melville e dell’indignazione di Fassbinder. Osvaldo Soriano, scrittore più che mai attuale, ha lasciato un segno indelebile nella letteratura mondiale grazie al suo stile limpido. Nel ventennale della sua scomparsa, il Premio Nazionale di giornalismo, letteratura e saggistica “Più a sud di Tunisi” (kermesse culturale che si svolge nel profondo sud della Sicilia, in un lembo estremo di territorio, collocato geograficamente al di sotto del parallelo della capitale della Tunisia, Portopalo di Capo Passero, in provincia di Siracusa) ricorderà Soriano con un’edizione speciale che vedrà la partecipazione, tra gli altri, di alcune grandi firme del giornalismo e della letteratura italiana, tra i maggiori conoscitori dello scrittore di Mar del Plata: Darwin Pastorin (che di Soriano fu anche un grande amico), Massimiliano Castellani, Pasquale Coccia e Cosimo Argentina. Un poker di raffinatissimi tessitori di “storie di cuoio” e non solo. A venti anni dalla sua dipartita, cosa resta di Soriano? “In tanti si sono dimenticati di lui in fretta, – scrive Coccia sul Manifesto, quotidiano che ospitò per anni gli articoli di Soriano – fino ai chiassosi animatori di trasmissioni del Bar Sport Italia. Dovremmo rileggere i suoi libri, occasione per cogliere un personaggio che, nonostante i lunghi anni vissuti lontani dall’Argentina e dagli affetti famigliari, perseguitato dal regime fascista di Videla, ha saputo vivere con dignità e spirito libertario”.

Il suo stile carico d’ironia, senza mai sfociare in un compiaciuto narcisismo, deformazione di non pochi autori attuali, lanciava uno sguardo verso gli ultimi, gli oppressi di sempre. I romanzi di Soriano sono dei viaggi interiori dove si muovono personaggi di ritorno dall’esilio, vaganti per le strade di un’Argentina un po’ reale e in parte fantastica, come l’ingegnere di Un’ombra ben presto sarai che s’imbatte in soggetti dolenti e assurdi. Ombre in un paese di fantasmi e in un mondo che sta andando a fondo. Dopo aver fondato il giornale “Pagina 12”, l’unica testata giornalistica veramente diversa nell’Argentina post Videla, Soriano s’impegnò a chiuderlo in futuro nel caso ci fosse stato un altro golpe militare pur di non doverlo annunciare. Attuale, eccome, rimane la grande importanza che l’autore di Triste solitario y final ha dato al ruolo della memoria, in un tempo in cui nessuno conosce la direzione dove conducono le strade e dove in tanti, troppi, sembrano persi in un labirinto senza uscita, immersi in un viaggio verso nessun luogo. Soriano ci ha ricordato, inoltre, che i tanti Virgilio del nostro tempo non sanno più essere guide sicure e giuste, con un inferno immutabile che non lascia spazio a possibilità di redenzione e riscatto. “Possiamo solo difenderci da un fato irragionevole, da misteri troppo più grandi e nemici degli uomini, – ricordò Soriano in un’intervista di metà degli anni 90 – andando avanti senza avere la pretesa di spiegare l’inspiegabile, avendo provato l’orrore di scoprire che Dio guida un casinò, un’infame roulette dalla quale non possiamo sfuggire”. A Darwin Pastorin svelò il suo grande desiderio: scrivere il seguito di Triste solitario y final, questa volta con protagonista Emilio Salgari. Avendo amato il creatore di Sandokan e del Corsaro Nero, per Soriano era il modo migliore di rendergli omaggio. Non gli fu possibile.

Le sue storie di “futbol”, con i racconti di rigori interminabili, campionati mondiali mai disputati, partite arbitrate dal figlio di Butch Cassidy o da direttori di gara epilettici, sono la sublimazione del “calcio come mistero senza fine, bello”. Nel ’79, in una delle lettere spedite dal suo esilio parigino al “querido” Giovanni Arpino, Soriano segnalò un giovane calciatore argentino. “Gli amici mi dicono che in un piccolo club di Buenos Aires c’è la salvezza del Torino. Si chiama Diego Armando Maradona, ha 18 anni ed è, secondo i giornalisti e i miei amici stessi, il più grande giocatore (anche se è basso di statura) degli ultimi 30 anni. Costa, credo cinque milioni di dollari. Se il Torino ha quei soldi è salvo. Dicono che paragonato a lui Sivori è un energumeno. Poi non dite che non vi avevo avvertito”.

In “Lettera a Eduardo Galeano” esce fuori la sua capacità di narrare il futbol del passato in una dimensione onirica e favolistica dove un campo di calcio glorioso aveva lasciato spazio ad un grande magazzino. Il racconto della visita in quel megastore, con Soriano in compagnia di Josè Sanfilippo, giocatore argentino attivo tra gli anni ’50 e ’70, eroe della sua infanzia e capocannoniere del San Lorenzo, rappresenta una spiegazione mirabile del processo di mercificazione smisurata che ha cambiato anche la storia del calcio. “E in quel momento, Sanfilippo – scrive Soriano – mi indica una pila di barattoli di maionese e grida: «Me la mise qui!». La gente ci guarda, spaventata. «Il pallone arrivò spiovente un po’ dietro ai centrali, scattai ma mi andò a finire un po’ in là, dove adesso c’è il riso, vedi?», e mi segnala lo scomparto in basso”. Trent’anni dopo, la porta è stata sostituita dalla cassa di un supermercato. Soriano ci ha insegnato a essere ribelli, sognatori e fuggitivi. I suoi artisti, matti e criminali, i pirati descritti insieme a fantasmi e dinosauri che hanno affascinato tantissimi lettori, sono stati la risposta migliore alla pletora di critici e cattedratici che disdegnarono le sue storie e il suo stile. L’irregolare di Mar del Plata che amava Arlt, Cortázar, Chandler, Simenon e Greene ci ha ricordato che l’indifferenza è terribile, che una società senza utopie è una società morta e che si può tentare di difendersi da un fato irragionevole, da misteri troppo più grandi e nemici degli uomini, andando avanti senza avere la pretesa di spiegare l’inspiegabile. Alla fine, “restano solo le amicizie fugaci, piccoli momenti di amore, essere vivi malgrado tutto, a condizione di vivere con dignità”. Tutto succede e sfuma allo stesso tempo, restano orme confuse su una strada vuota, senza principio né fine.

Sergio Taccone

 

Sergio Taccone. Giornalista e scrittore siciliano, vive a Siracusa e scrive per i quotidiani La Sicilia e Avvenire. Nel 2009 si è aggiudicato il Premio Internazionale di Giornalismo “Maria Grazia Cutuli” organizzato dal Corriere della Sera. Racconta storie di futbol per il portale www.storiedicalcio.altervista.org, con una predilezione per gli sconfitti. Il suo calciatore preferito è l’olandese Rob Rensenbrink. Ha pubblicato diversi libri in tema di calcio, tra cui “Football di provincia”. È autore del testo teatrale “Calcio perseguitato, storie di calcio e potere”. Dal 2006 è uno degli organizzatori del Premio Nazionale di giornalismo, saggistica e letteratura “Più a sud di Tunisi” che si svolge a Portopalo di Capo Passero (Siracusa).

 

Altro su Osvaldo Soriano: il giocatore di sogni qui https://www.exlibris20.it/2017/05/osvaldo-soriano-il-giocatore-di-sogni/