Per una lira è il titolo di una canzone di Lucio Battisti che comincia così: Per una lira io vendo tutti i sogni miei. E poi la voce a strisce di Battisti racconta la storia di qualcuno che a malincuore si distacca da una parte di sé. Ascoltandola, ho sempre pensato a chi scrive. In particolare agli esordienti. Chi, per la prima volta (e spesso per una lira) consegna il proprio destino al mondo. Nell’incertezza e nell’imprecisione, un esordio insegna a scrivere più di un capolavoro (anche quando le due cose coincidono: David Foster Wallace, La scopa del sistema, 1987). Per una lira è uno spazio dove leggendo le nuove voci della narrativa, italiana e straniera, metteremo in luce alcuni aspetti di un romanzo legati al gesto dello scrivere per la prima volta, ovvero alla scoperta della propria voce.

Alessandra Minervini tiene corsi di scrittura, scrive e legge molto. Il suo sito è alessandraminervini.info.


‘O Cane, Luigia Bencivenga, Italo Svevo Edizioni, 2024

A Ilias, cittadina immaginaria della Campania, si assiste a un’improvvisa moria di cani, forse un’antica profezia che si avvera. Muore anche Garryowen, cane buono di nobili origini, colpito da tre proiettili durante un’aggressione a Sauro Consilia, direttore del carcere sperimentale Dostoevskij. Il suo padrone, Mimì Nasone detto Figlio delle Stelle per il tatuaggio sull’occhio destro che ricorda il trucco di Paul Stanley, cantante dei Kiss, crede che le cose siano andate diversamente da come si racconta.
Ma la verità, che si nasconde tra le lussuose ville di via Belvedere, i meandri fatiscenti delle Case Rosse e i container dove vive l’umanità degradata di Cala Renella, lo obbliga a un aspro confronto con il proprio passato.
italosvevo.it


Lezione n. 67

Contro il folclore

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C’è un legame sacro con il sud per chi ci è nato. Questa sacralità si trasforma in impeto quando chi ci è nato, scrive. Questo impeto genera due movimenti narrativi. Consacra il sud a eccezionalità del mondo, narrandolo con il Regno dei Regni, confiscando la verità e trasformando luoghi, situazioni e persone in una macchietta anacronistica. Folclore appunto. C’è un altro movimento che quest’impeto genera ed è ciò che ci interessa: la libertà di scrivere per scrivere e per profanare. Un modo personale di mettere in scena e muovere meccanismi arcaici o contemporanei del sud per reinventarli, rinominarli e nell’invenzione profana renderli credibili e più interessanti. Questo è il movimento narrativo di ‘O cane, esordio della napoletana Luigia Bencivenga. Un romanzo per cui possiamo usare una parola bellissima ma difficile da contestualizzare. Qui diventa perfetta. È un esordio assurdo se dentro questo termine ci mettiamo l’immaginario, la fantasia, la potenza immaginifica di personaggi, situazioni, atmosfere e principalmente la potenza dell’uso della lingua letteraria con cui l’autrice non identifica il sud come problema o come canone. Sarebbe come confinarlo, appioppargli una gabbia nella quale non finirebbe solo un luogo e chi ci è nato ma soprattutto chi legge. In ‘O Cane il sud diventa un antigenere, un anticanone ruvido e illuminante, notturno e vitale.

Sono contenta di poter chiedere direttamente all’autrice una delle prime curiosità nate leggendola: dove nasce la storia che racconti, qual è stata la prima scintilla narrativa che l’ha generata, prima ancora che diventasse un romanzo.

‘O cane nasce dal disegno di una mappa della città di Ilias. L’ho disegnata su una parete molto ampia, cercando di essere precisa nel dividerla in quartieri. Dalla mappa, sono passata a immaginare le scene e in seguito i personaggi umani e canini. Si tratta di una città per certi versi eterogenea, con una gran varietà di residenti, accomunati da un lutto significativo e profondo, quello per i propri cani. Il romanzo è una lunga e dolorosa elaborazione del lutto, sebbene presenti elementi di ironia e comicità che, talvolta, destabilizzano. Ilias somiglia molto ai luoghi dove sono cresciuta, dove la tragedia è sempre un po’ commedia e dove il rapporto con la morte è quotidiano, vissuto da vicino.

«L’isola vegana è illibata. Non c’è da stupirsi che in una cittadina che si è scelta come patrono Lupone da Ilias, protettore delle carni equine, il veganesimo sia considerato un abominio.»

Ilias è un paese immaginario della Campania, come hai lavorato alla costruzione e caratterizzazione di questo mondo narrativo?

È un mondo immaginario ma possibile, dunque non c’è nulla di utopico o distopico. Non vivo in provincia di Napoli da 25 anni, ma è un territorio che mi ha influenzato nel profondo. Molte storie – pensa agli abusi subiti dal Figlio delle Stelle – sono vere. Vivendo in altri luoghi, si è costretti a cambiare mentalità (non l’accento, quello non lo perderò mai). Scrivere ‘O cane è stato un modo per pensare alla mia vecchia maniera, i personaggi non hanno nulla di nordico. Sono esagerati nelle loro espressioni sessuali, nell’esibire un’emotività debordante, nel loro dolore.

«Le persone più influenti della città giungono a coppie, a eccezione di religiosi, vedovi, separati o di coloro che godono di un consorte indisposto. Tutti insieme per una serata all’opulenta mensa del sindaco Gennaro Sorrentino».

Da chi è composta principalmente la varia umanità protagonista del romanzo e che tipo di visione letteraria e umana porta mette in campo?

I cittadini di Ilias, che siano residenti in via Belvedere, nelle Case Rosse o in Cala Renella, si portano dietro il retaggio di un pensiero magico difficile da sradicare. Questo comporta una certa rassegnazione ai giochi del destino. A livello sociale, in parallelo, persiste un’accettazione dello status quo, dunque una mancanza di dinamismo. Non potrà mai esserci rivoluzione a Ilias, perché in fondo tutto va bene. Al massimo potrebbero esserci azioni di sfregio, come ad esempio, colpire uno dei punti deboli di un essere umano, l’attaccamento al proprio cane.

Ci sono riferimenti letterari, creativi e artistici che hanno ispirato “la moria dei cani” da cui la vicenda parte?

I riferimenti letterari principali vengono dall’Ulisse. Vedi il cane Garryowen che da cagnaccio del Cittadino, diventa il cane Messia, buono e leale, erotico in quanto propenso all’altro, che sia il suo padrone o un estraneo. Umano perché sa mettersi in relazione con chiunque. A parte questo inevitabile omaggio, i cani che rimarranno nel mio immaginario sono quelli che Saramago utilizza nei suoi romanzi. Hanno la capacità di fare luce dove tutto è scuro, pensa a La caverna, romanzo tra il reale e il distopico. La presenza del cane Trovato è decisiva, illuminante, perché la scena, solo in presenza del cane, acquista una certa umanità.

«Un vaso colmo di vermi, il matrimonio. A chi riesce a tenerlo ben sigillato, andrebbe garantita un’esenzione fiscale.»

«Nessun indennizzo riparerebbe il fallimento, secondo solo alla disgrazia della paternità.»

La struttura del romanzo è sghemba e scorticata, come spesso anche la lingua sofisticata nel suo imprimere la rudezza umana, quante versioni precedenti a quella definitiva hai scritto e come hai raggiunto una così potente armonia? Che ruolo in questo ha avuto l’editing con la casa editrice?

Sulla lingua ci ho lavorato molto, fin dalla prima stesura. È una lingua drammaturgica che utilizza il presente scenico, priva di preposizioni che non ci sarebbero in un dialogo. Gli editor, Margherita Macrì e Dario De Cristofaro, sono intervenuti principalmente sulla forma, per razionalizzare il Wirrwarr che, oltre ad essere il verso del cane protagonista, significa guazzabuglio, caos e, diciamolo, casino! È una parola che traduce bene il moltiplicarsi di storie, che si avvicendano senza soluzione di continuità. Gli editor, oltre a eliminare più di 100 pagine, hanno governato il Wirrwarr, lasciando che il testo rimanesse ancora un Wirrwarr. Secondo il pensiero magico, è un miracolo. Sono molto grata a entrambi.

Come sei arrivata alla pubblicazione in Incursioni e che tipo di scrittrice ti senti?

Ho partecipato al Premio Calvino e sono finalista dell’edizione 23 con Menzione speciale. Credo sia un premio di consolazione, ma ne sono orgogliosa lo stesso. Qualche tempo dopo, ho saputo dell’interesse di Italo Svevo, editore di testi eleganti e raffinati da Male a est a Animale. Mi sono chiesta più volte come mai avessero scelto il mio manoscritto, perché ‘O cane vive del continuo confronto tra basso e alto con punte inevitabili di trash e momenti di sana risata. Non lo so ancora. Che tipo di scrittrice sono? Ipotizzo. Sono una via di mezzo tra un realista viscerale e un realista isterico, dunque una realista uterina, ma a parte queste etichette divertenti e sciocche, mi piace giocare con le parole, i paragrafi, le scene e i dialoghi. Ho sempre scritto per divertirmi, senza l’ansia della trama e non voglio perdere questa dimensione.

Come lettrice invece cosa preferisci leggere?

A parte i classici o i contemporanei classici (cito solo Harmonia caelestis di Péter Esterházy a cui ‘O cane deve molto), amo Vitaliano Trevisan, Rick Moody, A.M. Homes. Tra i nuovi talenti della letteratura italiana, amo Sergio La Chiusa, Luca Ragagnin e i miei amici Giuseppe Quaranta e Alessio Caliandro.

Scegli una frase del libro con cui vuoi “svelare” il romanzo e nello stesso tempo invitare chi non l’ha letto a farlo.

Non ci sono frasi rivelatrici, nessuna riflessione dell’autore, o esemplari massime utili alla vita, ma i personaggi ogni tanto dicono delle frasi lapidarie come, La vedovanza è un dono.  Oppure, mi piace riportare un passaggio in cui un ragazzino nerd parla al nonno del suo professore privato di letteratura:

– In letteratura mi sento forte, anche se ho delle serie difficoltà a rapportarmi al professor Pino Russo. L’ho provocato in tutti i modi, anche imputandogli la scarsa conoscenza di Metastasio. Senza battere ciglio, il prof mi chiede a bruciapelo, E tu conosci Giuseppe Bruscolotti, detto Palo ‘e fierro? Confesso di non conoscere nessun Bruscolotti e arrossisco dalla vergogna quando scopro che il suo nome è presente in tutte le enciclopedie del calcio come esempio da imitare per chiunque voglia diventare un terzino. Il prof sogghigna, inarca le vigorose sopracciglia in alternanza e se ne va. È il ghigno di chi sa ciò che è necessario sapere. –

Per chi non ha letto ‘O cane, leggetelo, lasciatevi portare dal flusso narrativo senza necessità di comprendere tutto. Alla fine, ogni nodo sarà sciolto e saprete a cosa serve il Prologo.

Piccola bibliografia

Josè Saramago, La caverna
Péter Esterházy, Harmonia caelestis

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