La scrittura è sempre un faccia a faccia con sé stessi. Ma che succede quando si decide di diventare protagonisti della storia che si sta scrivendo?

Memoria di ragazza è un’autobiografia, un viaggio a ritroso che la scrittrice francese Annie Ernaux compie dopo più di cinquant’anni. Torna nel suo passato, all’estate del 1958, a quel periodo in cui era solo una ragazza di pezza, smarrita, alla ricerca di un’identità, un’adolescente di origini umili che attendeva l’occasione giusta per staccarsi dalla famiglia, affrontare il mondo e diventare una donna. Ma cos’è che la spinge a rincontrare se stessa?

Ognuno di noi porta dentro dei nodi nei quali, negli anni, si incastrano ricordi, traumi, sensi di colpa, rimpianti. Per tutta la vita cerchiamo di allentarli perché non diventino duri come sassi. Ma c’è sempre qualcosa che, più di ogni altra, continua a pesare, una storia che ci sta più a cuore e ci tormenta, come il pensiero di qualcuno che non è più vicino a noi, a cui non siamo riusciti a dire addio. Quella storia, che è il nocciolo della nostra esistenza, starà sempre lì a ricordarci dov’è che qualcosa si è rotto e ci ha trasformati per sempre, finché non decidiamo di recuperarla.

Per la Ernaux la memoria è una forma di conoscenza. Inizialmente parla della ragazza che è stata come di un’estranea che le ha lasciato la memoria in eredità, mantenendo una certa distanza da lei, ma mentre scrive, la se stessa di un tempo si avvicina e le suggerisce le parole per farla rivivere. Così disseppellisce il passato e riporta a galla una verità oscena, che torna a colpirla come un’umiliazione, passa attraverso le angosce della fertilità e la bulimia, la perdita della verginità, temuta e sperata, vera o presunta, la prima delusione d’amore, la scoperta del sesso, il dolore dell’abbandono, quando H., il ragazzo su cui fantasticherà a lungo, la lascerà fuori dalla porta orfana di una spiegazione, e la ricerca di un posto nel mondo. Annie, quella di oggi, affronta la se stessa di allora, la giudica, non ne condivide certe scelte, se ne vergogna anche, eppure deve farlo per arrivare a comprendere ciò che è diventata, deve cercare nel suo passato la chiave di lettura per il suo presente, il senso del suo essere donna e scrittrice. “Non costruisco un personaggio di finzione. Decostruisco la ragazza che sono stata”.

È un’operazione faticosa, entrare e uscire da se stessa, osservarsi come se quel pezzo di vita fosse un antico reperto che lei, archeologa dell’anima, deve riportare alla luce. Perché cos’è scrivere se non “esplorare il baratro tra la sconcertante realtà di ciò che accade nel momento in cui accade e la strana irrealtà che, anni dopo, ammanta ciò che è accaduto”?

Franca Cribari

 

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