C’è un uomo che non gode certo di buona stampa ma, a scoprine la portata rivoluzionaria, è forse l’uomo che non ti aspetti. Silvia Stucchi, accademica di letteratura latina, nel suo Nerone, romanzo storico edito da Giunti, chiama a raccolta sia tutte le fonti storiche in circolazione sia le nostre idee che si sono cristallizzate nel tempo tra ricordi scolastici e varie rappresentazioni filmiche su questo imperatore discusso e controverso. E, come in un esame universitario, le interroga, scuotendo poi la testa desolata. Eh sì, gli eccessi di una storiografia antica, certo rispettata dall’autrice, anche perché sono le uniche ‘voci’ che abbiamo, ma in fondo malevola e quindi non obiettiva, ci hanno restituito un Nerone più ricalcato sul sentito dire, sugli scandali da rotocalco e così è passato alla Storia.

Il bisogno di restituire l’ultimo imperatore giulio-claudio alle sue reali geografie e geometrie esistenziali rende questo testo, con la sua narrazione vivace e immediata, un prezioso passaggio di testimone dalle riflessioni riabilitative di Massimo Fini, scritte decenni fa, al continuare a scavare nella Storia per fare emergere un Nerone il quanto più possibile vicino al vero, ricorrendo ad una fantasia non a briglia sciolta ma sempre sapientemente ancorata al contesto. Scopriremo che questo princeps non è affatto quello che suona la cetra e canta mentre Roma brucia, si dice, per mano sua e neanche quello a cui manca qualche venerdì mentre passa gli altri giorni a follie repentine. Nerone è un provocatore nato, di quelli che provocano come pungolo gli altri scuotendoli dal torpore, che ama stupirsi, distinguersi e pensare in grande ma, soprattutto, che vuole essere il primo a percorrere nuovi sentieri, con quella compiaciuta consapevolezza di essere la nota stonata e disturbante per le orecchie dei senatori, custodi, solo di facciata, del costume degli antenati e di una certa idea di regalità.

Quando si parla di Nerone il pensiero corre subito all’artefice della sua ascesa: la madre Agrippina, bella, fiera e machiavellica. Una donna che capisce subito che, all’interno di una famiglia imperiale da soap-opera, devi lottare per sopravvivere, una madre venerata, almeno all’inizio, in modo assoluto tra affetto e sacro terrore, che prepara il figlio come futuro capo di Stato mettendogli accanto il meglio in circolazione, quel Seneca che, più che la filosofia, insegna a Nerone la retorica, perché, se autentiche, le parole sono un laccio che stringe a sé quel popolo che l’imperatore ha sempre amato, ricambiato. Certo Agrippina non gradisce che il suo giovane figlio, vivace e attaccabrighe, travestito da schiavo, vada a fare serata in mezzo alla massa nella zona di ponte Milvio pieno di bettole, taverne e lupanari. Ma sono segnali di chi vuole considerarsi uno fra tanti e, in fondo, di una generazione ribelle a quella dei padri, perché si sente imprigionato in un ruolo che, almeno per come è stato concepito sino ad ora, non è suo. Sarò poi l’arte l’altro mezzo con sui si sottrarrà dai vincoli che la sua posizione comporta e si sentirà veramente sé stesso trovando nell’applauso del pubblico calore e ristoro.

Diversamente dai suoi predecessori, Nerone non ama la guerra, specie quando non è necessaria. Cosa che invece fa gola al Senato per avere ricchezza e visibilità. Non ha interesse ad allargare i confini dell’impero, già piuttosto ampi, e preferisce affidarsi alle vie diplomatiche. Il suo regno sarà all’insegna della pace, della prosperità, di un dinamismo economico e culturale senza precedenti che compaiono lampanti nel suo curriculum. Quest’ultimo, va detto, non è del tutto immacolato specie se osserviamo i suoi delitti all’interno della famiglia (prima la madre ingombrante, poi il fratellastro che minaccia la sua ascesa al trono e poi la prima moglie algida di un matrimonio combinato) e la persecuzione dei cristiani nella ricerca dei colpevoli del famoso grande incendio all’interno di una città vecchia fatta in gran parte di legno. Bisogna entrare in certe mentalità, così lontane nel tempo da risultare decifrabili, per comprendere il Nerone carogna che agisce male perché sa che deve farlo, così gli impone il ruolo di princeps. Stucchi non lo assolve ma non si sofferma solo al che ma anche al perché.

Intanto, come la storia della sua famiglia insegna, vive a stretto contatto con gli intrighi, orditi da di chi, fino a qualche tempo prima, faceva parte della sua cerchia ristretta di ‘compagni di merende’ che diffonde nel suo animo un disagio strisciante dato da:

’Un perenne dubitare, un camminare senza sosta su un terreno accidentato, nella continua tensione che viene dall’impegno a dipanare trame, valutarne la veridicità e i pericoli nascosti, e, insieme, a verificare la sincerità e gli scopi reconditi di chi gli sta davanti’’.

Il testo si sofferma molto su Nerone nel suo rapporto con le donne attuando una lettura più equilibrata di uomo spesso dipinto come loro succube o protagonista di relazioni ritenute scandalose, se non di strane preferenze amorose. A parte la prima moglie, ci sono Atte e Poppea che rappresentano due polarità da cui l’imperatore non si allontanerà mai: la prima è quella che dice: Nerone, pensa!, la liberta leale, che non ha antenati quotati per essere sposata e non può quindi garantire una discendenza legittima e questo fatto Nerone non può non tenerne conto, che vive nell’ombra, sempre un passo dietro di lui, che sa essere consigliera anche quando non viene interpellata, le basta uno sguardo; la seconda è Poppea, quella che dice: Nerone, osa! la seduttrice di chi ha naturalmente i mezzi pe farlo, che ha più carte da giocare rispetto alla prima grazie al titolo, donna colta e intelligente, protagonista di un grande matrimonio d’amore, curiosa, allegra e amante dell’Oriente, tutti elementi che rafforzano la sintonia con Nerone che intanto si fa immortalare, non è un caso, con barba incolta alla maniera ellenica. Ne risulta un rapporto privilegiato con l’universo femminile che è indizio di un imperatore dall’indole, in privato, quasi femminile nei vivere i sentimenti e, prima ancora, nell’accenderli.

Ma saremmo ingrati se non citassimo tra le sue ‘donne’ l’arte. Nerone ha sempre cercato uno spiraglio per potere coltivare la sua anima artistica come comporre poesie o esercitarsi con la cetra, sua vera passione e non ozioso passatempo, per poi esibirsi in pubblico, cosa che la mentalità di allora non può accettare perché le arti sono passioni da coltivare in privato:

’Il fatto è che il suo sogno è sempre stato uno e uno solo: non soltanto quello di esibirsi ed essere omaggiato, applaudito, ammirato e citato come esempio per le sue capacità di artista. Certo, tutto questo, ma insieme vorrebbe essere ricordato non come una stranezza, come un uomo bizzarro, o eccentrico: insomma, vorrebbe che qualcosa cambiasse nel modo di pensare dei Romani’’.

I benpensanti, che non sono quelli che ben pensano, non accettano che questo imperatore chiacchierato per le vicende famigliari si sia fatto auriga, istrione e incendiario. Come non si accorgono che, esibendosi in pubblico come citaredo e mostrando un inedito volto della regalità, stia compiendo un’impresa epocale proprio in quella Roma che da tempo accoglie nelle sue vie tutto il mondo e che, al contempo si apre al mondo, con un’immagine nuova, una visione della bellezza e un messaggio che, nonostante la durezza della vita, c’è sempre spazio per un po’ di leggerezza e di fantasia. Le critiche arrivano da chi, comodamente seduto sugli scranni della Curia, non ama rischiare, non vuole scoprire un modo diverso di essere uomini che superi un codice di comportamento che non è più al passo con i tempi. Roma con Nerone passa da una rozza cultura guerriera ad una raffinata capitale di stampo ellenistico. Non è soltanto questione di visioni, aprendo le porte all’Oriente, che di lì a qualche secolo, sarebbe stato il cuore del potere, ma anche di sangue: il suo bisnonno era Marco Antonio e in Oriente era di casa…

Claudio Musso

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