Chissà cosa stanno pensando e facendo in questo momento Attilio, Guido, Nicola? Leonardo è tornato ancora a Cascina Aprile? Chissà Cozzani cosa sta ridistribuendo tra gli abitanti del paese?
Queste sono le domande che hanno a più riprese assalito la mia mente dopo la lettura del breve, ma intenso, romanzo di Beppi Repetto.
Non è facile trovare le parole adatte per descrivere a pieno la bellezza e la forza di queste pagine che, attraverso un linguaggio limpido e ricco di descrizioni, conducono il lettore a sentirsi parte e compartecipe delle vicende presentate.
Chi prende tra le mani questo libro non può immaginare che la descrizione della corriera blu, che si inerpica in una valle scoscesa, con la quale si apre il racconto, sia una metafora e anticipazione di quanto avverrà nelle pagine successive.
Non sono lontano è un romanzo duro come la trachite, la pietra che veniva estratta nella cava vicina al paese intorno alla quale ruotano parte delle vicende raccontate: una narrazione nella quale la morte, l’unica “presenza” femminile, è protagonista silenziosa nelle vite del giudice Attilio Maggiani che ha perso Tommaso, il suo unico figlio, in una scalata in montagna, di Guido che ha perso l’amato fratello Vittorio per mano dei dei tedeschi che hanno sparato a lui e altri giovani nella piazza del paese, di Leonardo che ha assistito impotente alla morte dell’amico Tommaso, degli abitanti del paese che hanno perso tre dei loro giovani nella cava.
Le storie personali dei personaggi e del piccolo borgo di montagna in provincia di La Spezia, si intrecciano con la macro storia; dalla sofferenza e dal desiderio di fare giustizia nasce un’idea apparentemente folle ma, come dice il Giudice, con una bagliore di luce che si trasforma in un sorriso, poco importa “se qualcuno non capirà, sarà perché non ha vissuto quello che abbiamo passato noi. È dalla sofferenza che viene la forza. È dalle ingiustizie patite che viene l’energia per ribellarsi.”
Uomini duri, provati dalla vita per i quali è difficile ammettere e riconoscere le emozioni che, verso la fine del racconto, si ritrovano “tutti e tre chiusi in una stretta” che “all’inizio fu un fremito, come una vibrazione che li attraversò tutti e quattro poi i loro muscoli si sciolsero nella stanchezza felice di chi raggiunge la vetta”.
Tante tantissime le allusioni simboliche prime fra tutti il luogo in cui abita Attilio Maggiani, chiamato in paese il Giudice, Cascina Aprile ricorda il mese del passaggio e della rinascita, la stagione in cui tutto, come avviene poco per volta nelle righe del racconto, torna a fiorire.
Un romanzo che è impossibile incasellare in un genere narrativo e proprio questo è uno dei suoi punti di forza e la presenza di un mistero legato a un tesoro nascosto dai tedeschi nella montagna aggiunge una pennellata di suspence che non guasta.
Maria Crevaroli
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