Bisogna guardare indietro per procedere avanti. In questo momento storico in cui i rigurgiti di violenza sulle donne, fisica ma non solo, sono tornati prepotenti, troviamo parallelamente segnali forti di una resistenza al femminile che vuole raggiungere un nuovo livello di consapevolezza. Una presa di coscienza collettiva, necessaria anche e soprattutto alle donne, che restituisca valore, identità e dignità all’influenza delle figure femminili nella storia, da più punti di vista e in più ambiti, per avere maggior contezza di sé nel presente e nel futuro. L’esempio più recente ce lo offre C’è ancora domani, il film di Paola Cortellesi, per la prima volta dietro la macchina da presa cinematografica, che ha aperto la Festa del Cinema di Roma 2023 e che vuole essere un omaggio a tutte quelle donne, invisibili, inconsapevoli del proprio valore e quindi dei propri diritti, che hanno contribuito a costruire l’Italia dal dopoguerra in poi.

Similmente, la sociolinguista Vera Gheno, nel suo libro Parole d’altro genere. Come le scrittrici hanno cambiato il mondo (Bur Rizzoli, 2023), uscito a marzo scorso, ha seguito le tracce di autrici di un tempo passato che svelano una produzione artistica tanto di valore quanto ingiustamente ignorata o bistrattata.

Come recita la quarta di copertina del volume, “Per secoli le donne hanno nascosto le proprie parole dietro a pseudonimi o non le hanno pubblicate affatto, affidandole ai posteri. Lo testimonia la presenza delle scrittrici nelle antologie scolastiche di oggi, ridotta, per dirla coi codici cromatici cari alla tradizione, a una sfumatura rosa su un cielo tutto azzurro. Lo abbiamo considerato naturale, magari anche giusto (non sarà che le donne scrivono peggio degli uomini?), eppure, se guardiamo sotto il pelo dell’acqua, scopriamo che il sommerso, ovvero le parole che le donne non hanno mai smesso di scrivere, ha cambiato il mondo, con la bellezza dirompente della letteratura”. Ne parliamo con l’autrice.

Hai scelto 42 parole per altrettante autrici, quali sono fra queste le parole che tu consideri più attuali e contemporanee, quelle più utili al nostro tempo?
Avendole scelte una per una, le ritengo tutte molto importanti; forse, continuerei a insistere sulla triade patriarcato, corpo e ingiustizia discorsiva, perché la loro centralità è ancora sottovalutata.

Puoi citare alcune scrittrici attuali che secondo te continueranno a cambiare il mondo e perché?
Ne vedo tantissime, talmente tante da non voler fare nomi. Credo nella sorellanza, credo nel potere dei movimenti collettivi. Qualsiasi scrittrice, pensatrice o attivista fa da catalizzatrice, ma l’onda femminista è e deve rimanere una faccenda di gruppo.

Con il tuo libro dimostri che il canone letterario femminile non esiste, perché le donne hanno scritto e scrivono di tutto. Secondo te c’è una sensibilità diversa nell’affrontare i temi in generale? Vale ancora l’osservazione “è tipicamente femminile”?
A parte le ovvie differenze anatomiche, la costruzione dell’immaginario, del modo di pensare, della “sensibilità” femminili sono frutto dell’educazione, della cultura. Non credo che le donne pensino diversamente  per ragioni biologiche, ma casomai per ragioni culturali.

Hai scritto che hai imparato moltissimo lavorando a questo libro: puoi condividere con noi qualcosa?
Intanto, ho fatto la conoscenza di una pletora di scrittrici che nemmeno io conoscevo. Poi, ho potuto acquisire una consapevolezza storica (rispetto a come sono io oggi, come vivo, diritti, doveri, libertà e limitazioni che ho in quanto donna nel mondo presente) di quanto è stato fatto da un plotone di donne prima di me per arrivare alla situazione attuale, anche rispetto a cose che davo per autoevidenti e assodate.

“La consapevolezza femminile è ancora bassa in Italia”: puoi spiegarci meglio questa affermazione e quali potrebbero essere, dal tuo punto di vista, le strade per aumentarla?
Molte donne (soprattutto donne eterosessuali e cisgender, cioè quelle comunque più vicine alla sommità della piramide del privilegio) non hanno una piena percezione di quanto sia ancora diffuso il sistema patriarcale. Anzi, spesso vi partecipano gioiosamente, ritenendola quasi l’unica forma possibile di organizzazione sociale. Mi viene in mente la presentatrice tv che recentemente ha detto di apprezzare il cosiddetto catcalling o pappagallismo, cioè i commenti per strada, che sembra non comprendere che semplicemente irrompere nella sfera personale di una donna mentre questa sta camminando per i fatti suoi è un segno di prevaricazione violenta: la presunzione che le donne siano lì, per strada, per prendersi gli sguardi degli uomini, non per farsi i fattacci loro. La strada per aumentarla, per me, passa dal parlare di queste questioni, il più possibile, favorendo il dibattito pubblico. Studiare, insomma.

Quanto c’è bisogno di educare i giovani e quanto c’è bisogno di educare soprattutto le generazioni più vecchie a una visione meno esclusivamente binaria maschile/femminile?
Sulle generazioni precedenti, ho le mie riserve che possano davvero cambiare. Casomai, vanno messe nella condizione di nuocere sempre meno (e questo passa dal rafforzamento dell’autocoscienza delle giovani generazioni).

Si è parlato molto della città femminista, ovvero la città pensata in un’ottica non solo maschile, che porterebbe migliorie a tante altre minoranze, anziani e bambini per citarne due. Secondo te a che punto siamo con l’adozione di un linguaggio quotidiano che tenga conto del femminile? Potrebbe avere gli stessi benefici della città al femminile, ovvero riverberarsi anche su altre comunità vissute oggi come minoranze?
In Italia siamo molto indietro, anche perché c’è una bella fetta di femminismo istituzionalizzato (il femminismo presentabile in pubblico e sui media) che tende ad arroccarsi su una visione separatista (prima le donne, poi tutte le altre minoranze marginalizzate), finendo per indebolire il possibile fronte comune. Per quanto mi riguarda, il femminismo è intersezionale o non è femminismo.

Intervista a cura di Daniela Giambrone