Tra i finalisti della cinquina del Premio Strega 2025, Perduto è questo mare è l’ultimo romanzo di Elisabetta Rasy, e forse anche il più intimo.

Superando ogni definizione rigida di genere letterario – attraverso una scrittura elegante e permeata da un senso di malinconia nella scelta delle parole, ma allo stesso tempo dinamica e asciutta nella costruzione delle frasi – l’autrice compie un viaggio a ritroso nella propria biografia, attraversando i territori fragili e luminosi dell’infanzia, della perdita e della memoria.

Al centro del racconto, più che gli eventi, c’è un sentimento: quello dell’abbandono.

A fare da guida in questo cammino, invece, ci sono tre figure simboliche e profondamente evocative: Raffaele La Capria, autore amico dell’autrice, scomparso nel 2022; Enea, l’eroe epico che fugge da Troia portando sulle spalle il padre; e Franz Kafka, romanziere dell’angoscia e del distacco. Uomini diversissimi tra loro, eppure uniti dalla tragica condizione comune dell’esilio interiore, della separazione, della fuga. Come loro, anche l’autrice ha dovuto andarsene – da un padre, da un luogo, da un tempo che non ritornerà.

Il vero protagonista del romanzo è tuttavia il padre di Elisabetta; una figura centrale e sfuggente, adorata e poi perduta. Da bambina, Rasy viene strappata alla terra incantata dell’infanzia e a quel padre che, dopo la separazione, sprofonda lentamente nell’isolamento. Quando anni dopo, ormai adolescente, torna da lui, scopre che l’abbandono si è compiuto in senso inverso: è l’uomo ad essersi a sua volta allontanato da tutto, rinchiuso in un silenzio inaccessibile. Di fronte a questa distanza incolmabile, all’autrice non resta che partire di nuovo, stavolta per autodifesa.

La scrittura si sposta allora riflessione sulla perdita. Così il mare di Napoli, che accomuna le origini di La Capria e Rasy, non è solo un elemento naturale; anzi, diventa un simbolo: è il mare dell’infanzia, dell’azzurro assoluto e irraggiungibile della giovinezza. Un luogo mitico e mitizzato che ormai non esiste più, se non nella memoria.

Anche Elisabetta Rasy, allora – come Enea, come Kafka e come La Capria –, racconta una fuga tormentata ma necessaria, e nel farlo restituisce al lettore un’opera intensa, malinconica, attraversata da una serenità meditativa possibile solo grazie alla distanza del tempo.

Perduto è questo mare è, in definitiva, il romanzo della consapevolezza che nulla si trattiene davvero, né i luoghi, né i padri, né i sogni; ma che tutto può essere rivissuto, con grazia e dolore, nel gesto semplice del ricordare.

Rossella Lettieri

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