La mia vita sarà perpetuamente solitaria, anche in mezzo alla conversazione, nella quale, per dirlo all’inglese, io sono più absent di quel che sarebbe un cieco ed un sordo. Questo vizio dell’absence è in me incorreggibile e disperato, così scriveva Giacomo Leopardi al letterato Giovan Pietro Vieusseux, fondatore dell’Archivio storico italiano, condensando ciò che può considerarsi la Weltanschauung leopardiana.
Giacomo, figlio di un nobiluomo di provincia, fin dall’infanzia vive una condizione di disagio: il rapporto di amore-odio con il padre Monaldo. Sebbene sia un rapporto intenso di affetto e di stima, Giacomo subisce le imposizioni e le severe repressioni dettate dal padre; un rapporto che richiama alla memoria le pagine di Lettera al padre di Kafka, in cui l’autore delinea la figura di un padre-padrone amorevolmente detestabile. Non è da escludere che Monaldo Leopardi abbia avuto il suo peso nella formazione caratteriale del figlio e lo stesso vale per l’ambiente chiuso del natio borgo selvaggio estremamente limitante alla precoce intelligenza di Giacomo.
In tal modo, incamminandoci per gli oscuri meandri della psicoanalisi si potrebbero identificare due elementi fondamentali da cui scaturisce il pessimismo dì Leopardi: la troppa intelligenza e la pusillanimità, l’una legata strettamente all’altra. Unendo a questa condizione il vivere in un ambiente ristretto, di provincia (come Recanati), parco di stimoli, il disagio si acuisce, sfociando nella solitudine. Un modo per non essere compressi da questi limiti è quello di crearsi nuovi spazi o fuggire verso nuovi lidi… Leopardi è consapevole di questo, soffre i limiti ma non li supera perché non vuole abbandonare Recanati e soprattutto non vuole lasciare il padre, continuando a nutrirsi di questo suo masochismo latente, alimento base alla sua produzione poetica. Non fuggendo materialmente, Leopardi rifugge dall’arido vero trincerandosi dietro le illusioni…
Ma è troppo intelligente per scegliere una scappatoia così improbabile, non a caso il crollo degli ideali subentra dopo il fallimento dei moti del 1820-21: nasce il ‘pessimismo storico’ che culminerà successivamente in quello ‘cosmico’. Leopardi cambia idea nei riguardi della Natura, proprio perché si rende conto che l’esaltazione di ciò che è la culla dell’umanità è la vera illusione. Inizialmente la Natura è benigna, madre premurosa che distoglie l’uomo dalle brutture della vita avvolgendolo nella nuvola ovattata delle illusioni, ma il ‘dolce inganno non dura molto: le illusioni svaniscono e l’uomo cozza contro la atroce realtà, dunque la Natura è la principale artefice delle sofferenze dell’uomo perché non diretta alla felicità degli esseri sensibili in quanto cinica matrigna. Gli uomini in quanto uomini sono destinati a soffrire, sentenzia Leopardi. Al “penso dunque sono” di Cartesio sembra sostituire il “soffro dunque esisto”! Il male è insito nell’universo: non in potenza ma in atto perché proprio dell’essenza del mondo. Le teorie di Rousseau vengono confutate in favore di quelle di un altro illustre illuminista, Voltaire, del quale Leopardi condivide le cupe affermazioni sul destino dell’uomo. Niente può risollevare l’uomo, neanche il piacere che è noia. Vita felice? Stridente ossimoro! La noia è desiderio di felicità non soddisfatto dal piacere e non offeso dal dispiacere; addirittura la noia è peggiore del dolore stesso scriveva Schopenhauer.
Leopardi è atterrito dalla dolorosa verità del materialismo e dell’ostilità della Natura ma trova uno spiraglio: la ‘rimembranza’, il recupero delle illusioni vitali tramite lo ‘sfogo del cuore’. L’uomo, il filosofo ha bisogno di solitudine affinché possa percepire la propria interiorità e quella delle cose che lo circondano. L’anima va curata, coccolata, assecondata perché possiede un dono prezioso: quello di penetrare in profondità e cogliere gli aspetti più nascosti di ciò che ci circonda; affinché ciò avvenga l’uomo ‘sensibile ed immaginoso’ deve rimanere solo con se stesso, in compagnia dei suoi ricordi. La memoria è l’elemento indispensabile per la poesia, il poetico è il vago, l’indefinito, il passato. Leopardi sembra stringere la mano a Wordsworth che scriveva “Poetry is an emotion recollected in tranquillity” (La poesia è un’emozione ricordata in tranquillità). Solitudine, memoria, estro poetico… Non tutto è perduto. Nella Ginestra, Leopardi sembra rinascere dalle ceneri (sempre ardenti) del suo pessimismo e spronare l’uomo alla lotta: solo un’unione fraterna per combattere il “secol superbo e sciocco” può ridare speranza agli uomini, accomunati dallo stesso dolore. Leopardi ha con la Natura e quindi con il mondo, lo stesso rapporto di amore-odio che aveva con il padre, ma disprezzandola non fa che amarla fortemente: più la taccia di crudeltà e vuole allontanarsene e più la celebra e non se ne distacca.
Tiziana Masucci
“Il miglior uso ed effetto della ragione e della riflessione è distruggere o minorare nell’uomo la ragione e la riflessione e l’uso e gli effetti loro.”
In libreria
Giacomo Leopardi
Canti
Einaudi, 2016
Collana: Einaudi tascabili. Classici
448 p., brossura
€ 13,00
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