Una poetica. Qui ci vuole una poetica. Sono un poeta mi hanno comunicato. E normale che prima o dopo giunga l’ora. Che il non luogo abbia un conio. Il non luogo che è la poesia, mi hanno comunicato. Ci sei dentro, poeta. È questo qui. Dacci un po’ di verità latente spirituale. Riempi lo stampo. Sommergici di maieutica. Ma voi chi? Voi lettori voi critici voi uomini voi fratelli? Mah, non lo so. Per intanto vi abbraccio tutti, già che sono un poeta e dunque amo e odio tutto e tutti con grande intensità polmonare: un mantice a parametri giambici di cuore sbilenco. Sono io, mi hanno comunicato, quello lì. Vorrei dirlo sincero papale: grazie grazie grazie. Mi sento un po’ in obbligo, ora. Un po’ in colpa per non riuscire a spremere una rapa d’accidente sull’origine della mia poesia. Il poeta, si sa, è tumefatto dai sensi di colpa. Il poeta civile come l’altolirico come il neoqualcosa o il postqualcos’altro. Sì, ma tu, tu, tu? Sei già a riga undici e ancora ti nascondi. Veramente, è che io, l’esattezza, cioè, volevo essere preciso, la ricostruzione, la responsabilità, il messaggio. Ecco, sì, ci sono. Ero piccolo. Poeti si nasce, non si diventa, mi hanno comunicato. Dunque ero piccolo e non riuscivo a mangiare i pomodori, proprio mi veniva il rigurgito, allora la mia mamma mi ha detto, Devi ingoiare la vita, questo è solo un ortaggio. Io ci ho pensato molto la notte seguente, una delle mie prime notti in bianco, una notte alla Genova di Valéry, che al mattino quando sono venuti a svegliarmi per portarmi all’asilo, ho comunicato la mia solenne presa di coscienza: mamma, sono un poeta. Però forse la parola non era pomodoro, forse era pomice. La parola pomice raschia l’esistenza e la pulisce. Una cosa alla Petofi,·che se ne stava lì infelice per capire meglio, così almeno ha detto lui, più o meno, in una lirica. Comunque non ricordo proposte di insalata di pietra pomice da parte di mia madre. Il poeta però, l’infanzia se la rifà a suo uso e consumo, mi hanno comunicato. Oddìo, se è così, chiedo scusa, chiedo scusa, chiedo scusa. La mia fidanzata invece sostiene che la questione sta nel nocciolino. Che molte delle persone che vivono nel mondo non ce l’hanno. E che le persone che hanno il nocciolino vivono profondamente la vita e gli altri se ne accorgono. E questo è bello per il mondo, soprattutto, che trattiene le energie e fa uno scavo oracolare illuminato di ogni cavo orbitale delle persone transitate nel mondo diventate teschi. Secondo me la parola teschio non sfigura in un’autopoetica. In Messico li fanno di zucchero e i bambini li mangiano e ridono. Il poeta è quell’uomo che cerca di mangiarsi la morte vera e di risputarla zuccherina dal cuore. Per farlo una volta diventa la grassa cuoca con le trecce, una volta fa il contenitore di legno sfilacciato, un’altra ancora diventa il bambino. Se gli viene bene, se non c’è distanza tra quello che sente e come lo dice, quella cosa si chiama poesia. Allora lui ride, e poi sta zitto. Come me adesso.
Luca Ragagnin
L’odore più acre che dica
L’odore più acre che dica
se c’è ancora taglio profondo
da andare di testa, in picchiata,
di nuovo a trovarti: lavacri
d’amplesso, simulacri. Sogni
che al vaglio di fredde ragioni
la festa scongiuri lo sbaglio
di stringere un calco di gesso.
La carne ha fatto naufragio
La carne ha fatto naufragio
in terra straniera: il tuo corpo.
S’affonda un po’ d’anima.erra
nel vago. Anch’essa vapore
e bacio: perfetto nulla.
Si veste di calce. S’ammorba.
È torba soltanto, non paga.
Germoglia, fiorisce con falce.
La voce che l’intendimento
La voce che l’intendimento
di forme più note persegue,
emerse dal dentro con fiotto
violento e tradotte nel neutro:
dalle plaghe al gesso, subentra
per pietà alla resa incipiente
dell’antico timbro che ha sede
nel perduto recesso senza erede.
Dov’è il suolo che assorbe, atro
Dov’è il suolo che assorbe, atro
condotto, riporto di zolle
gettate sul margine a far posto
per il tuffo: l’umana semente,
stuolo di cellule, coagulo
che si è originato nel baratro.
Dov’è andato il molle cemento
che argina il niente, lo assolve.
Il libro

Luca Ragagnin
Biopsie
Manni, 2000
Collana: Pretesti
104 p., brossura
Il libro attualmente è fuori catalogo
La biografia aggiornata

Luca Ragagnin è nato a Torino nel 1965. Ha pubblicato in versi le sillogi L’angelo impara a cadere in «Poesia contemporanea. Quinto quaderno italiano» (Crocetti, 1996), Piccoli crolli sinfonici in «7 Poeti del Premio Montale 1995» (Scheiwiller, 1996), le raccolte Fabbriche Lumière (Bompiani, 1998), Biopsie e La balbuzie degli oracoli. Le sue poesie sono tradotte in Francia, Svizzera, Portogallo, Polonia, Romania e Montenegro.
È autore di romanzi (Marmo rosso, Arcano 21, nel 2019 Pontescuro), racconti (Adone fatta a pezzi, Anime pixel, Pulci e Un amore supremo), testi teatrali (Misfatti unici, Cinque sigilli) e testi di canzoni (tra gli altri, per Subsonica, Delta V, Serena Abrami e Antonello Venditti).
Abbiamo parlato di Pontescuro, l’ultimo romanzo di Luca Ragagnin qui
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