Capita di imbattersi, a volte per caso, o di immergersi per conscia scelta, in alcuni poeti che, con le loro parole, le loro visioni e suggestioni, ti scavano voragini di emozioni contrastanti.
Uno di questi è indubbiamente Paul Celan.
Dinnanzi ad alcuni poeti quindi, ci si ritrova piccoli, un po’ inermi, e ci si domanda quanto possano essere efficaci le parole per definirli, quando altri li hanno già descritti, illustrati e analizzati.
Si può solo provare a trasmettere, con estrema umiltà, quelle sensazioni simili a mulinelli di rapide vertiginose che la poetica di Celan smuove quando la si affronta.
Non si può parlare di questo poeta slegandolo dalla sua vita, immersa nel nichilismo storico più acuto degli ultimi cent’anni; non lo so si può separare dalle sue origini, dalla sua educazione culturale, dalle sue doti innate; né dagli anni di dolore, di persecuzione, di privazioni, di perdite. Dalla sua malattia e dalla sua morte.
Il Poeta-enigma, il Poeta oscuro, di origine ebraica, nasce nel 1920 in Romania, a Cernovitz, capoluogo della regione di Bukovina, allora parte del Regno di Romania e attualmente in Ucraina.
Studia in Francia, perde i suoi genitori in un campo di concentramento, lui stesso scappa da un campo di lavoro, vive per un po’ di tempo a Bucarest, inizia a tradurre, a comporre; si trasferisce a Parigi e dopo altre numerose perdite, tra cui quella del suo primo figlio, dopo lunghi estenuanti momenti afflitti da una psiche annientata, si getta e muore nella Senna.
Ogni singolo evento della vita di un uomo lo influenza e lo identifica, e per un artista, un poeta, questo equivale a trasformare le forti e travolgenti emozioni provate in parole.
La sua poetica ci squarcia, ci rende a volte impotenti dinnanzi al dolore, ci scuote.
Viene definito il poeta oscuro, perché volontariamente o meno, sfida il fuoco del male nelle sue radici più profonde.
Un poeta che poco impone, ma che espone i tormenti del suo calvario costantemente in bilico sul crinale sottile e friabile del bene e del male; ossessionato da quest’ultimo, e dalle sue molteplici sfumature.
La sua poetica ci suggerisce due aspetti che si legano in maniera indissolubile; le sue immagini surreali e le sue suggestioni sono referenziali, ma queste vengono rafforzate e risultano estremamente vivide sul piano sintagmatico dal montaggio, dalla sua costruzione che diventa cornice, recinto, che a sua volta diventa risolutivo e decisivo nella sua potenza lirica.
Il filosofo Theodor W. Adorno lasciò una frase lapidaria che rimase, e rimane ancora oggi, oggetto di discussione: “dopo Auschwitz, nessuna poesia, nessuna forma d’arte, nessuna affermazione creatrice è più̀ possibile. È un atto di barbarie”.
Il poeta Andrea Zanzotto, in riferimento a Celan scrisse: “rappresenta la realizzazione di ciò che non sembrava possibile: non solo scrivere poesia dopo Auschwitz, ma scrivere “dentro” queste ceneri, arrivare a un’altra poesia piegando questo annichilimento assoluto, e pur rimanendo in certo modo nell’annichilimento.”
Celan cuce una tela di sofferenze vissute nella sua breve e intensa vita con il suo acuminato e preciso ago sfidando la dichiarazione di Adorno, infatti è sua la frase: “Raggiungibile, vicina e non perduta in mezzo a tante perdite, una cosa sola: la lingua.”
Se oggi Celan è ancora una voce importante nel panorama letterario sotto diversi profili, se è così conosciuto, apprezzato e attuale in Italia, lo si deve a una scelta che fece lui stesso a fine anni ’60, quando Mondadori si interessò a tradurlo. Nel 1970 Celan, dopo mesi di ricerca, selezionò il giovane poeta tedesco Moshe Kahn ribattezzato poi “il traduttore degli intraducibili”.
È quindi anche grazie alla traduzione di Kahn, nella versione ampliata e completa, pubblicata da L’Orma Editore, che possiamo navigare in una poetica così serrata e densa, dove i misteri dell’inconscio emergono chiari e non più oscuri, dove gli enigmi sono infine svelati.
Nella fonte dei tuoi occhi
Il mare mantiene la sua promessa
Qui getto,
un cuore, che visse tra gli uomini
Il sanguinare delle sue parole non è disseminato sul letto della Senna.
Caterina Incerti
E tu cosa ne pensi?