Tornato dalla Germania per chiudere le pratiche del divorzio, Sebastiano, pur convinto di non restare a lungo, per non abbandonarsi all’ozio assoluto accetta un lavoro qualunque, anche se piuttosto insolito: censire i lampioni di alcuni paesini dell’alto Salento, per conto di una ditta locale. Nonostante i loro rapporti siano tesi, il ragazzo porta con sé anche il padre disoccupato e si ritroverà a lavorare in coppia proprio con lui.

Al centro del racconto ci sono, dunque, padre e figlio, coi loro silenzi e le loro incomprensioni, eppure uniti da un affetto inespresso e che si scopriranno molto più simili di quanto immaginino. A fare da coro tanti personaggi: familiari, amici, paesani, il datore di lavoro. Tra questi si distinguono due figure femminili: Magda, ex moglie di Sebastiano e attuale compagna del padre, relazione di cui il protagonista viene a conoscenza poco prima di iniziare quel lavoro assieme, il che rende ancora più cupi e profondi i loro silenzi, e Lisa, una ragazza introversa, iscritta all’Accademia di belle arti, che coinvolge Sebastiano nella sua particolare produzione artistica: “le mappe dei giorni”. Proprio sotto l’impulso delle mappe di Lisa, le annotazioni sulle schede dei lampioni, dapprima sintetiche, essenziali, standardizzate, divengono sempre più sofisticate, personalizzate, fino a trasformarsi in una sorta di poesie metropolitane.

Attraverso una descrizione minuziosa e affascinante di luoghi, persone, atmosfere, Vetrano conduce il lettore in una quotidianità fatta di piccoli gesti casalinghi e di interminabili giornate condivise con gli amici, tra piazze, cortili, bar, campetti assolati e boschi ombrosi, in una realtà per me familiare, quella dei paesini del Sud, che abbiamo vissuto da adolescenti nei primi anni ’90 e che da adulti stentiamo a riconoscere.

Il racconto delle sue giornate di lavoro, apparentemente monotone e ripetitive, diventa per Sebastiano il pretesto per scavare nei propri ricordi e dentro se stesso, cercando di ricostruire, attraverso frammenti di memoria propri e altrui, le ragioni ultime che hanno guidato le principali scelte non solo sue (lasciare l’università, sposarsi di fretta e divorziare ancor più velocemente, emigrare in Germania per poi fare ritorno al paese), ma anche di suo padre (abbandonare la famiglia, chiudere il negozio di articoli sportivi).

Questo censimento dei lampioni fatto assieme al padre diventa, allora, un viaggio nello spazio, attraverso paesi più o meno grandi, più o meno uguali tra loro, proprio come i lampioni stessi di cui Sebastiano, anche per scacciare la noia, impara ad annotare le più piccole differenze, e nel tempo, guidato più dall’associazione di luoghi e volti a ricordi sbiaditi, che dagli scarni dialoghi col padre.

Il racconto si muove, dunque, tra presente e passato, a volte sovrapponendo i piani narrativi, ma mantenendo sempre un buon ritmo, scandito da frasi brevi, da una prosa asciutta, che contribuisce a tenere alta l’attenzione del lettore, il quale, mentre segue la routine di padre e figlio, impegnati in un lavoro del quale, almeno apparentemente, nessuno dei due può fare a meno, scopre a mano a mano la loro storia, ricostruisce, assieme al protagonista, le vicende che lo hanno portato a questo punto della sua esistenza. Frammenti di ricordi si incastrano a poco a poco, dando forma a episodi del passato, che a loro volta si mescolano e confondono con situazioni presenti. Il tutto impastato da una diffusa sensazione di noia, che sfuma i contorni non solo dei ricordi, ma anche della vita quotidiana, consumata da adulto, come da adolescente, nell’attesa, nel pensare a cosa fare, piuttosto che nell’agire concretamente. Frasi, gesti, azioni che restano indefinitamente sospesi tra voglie alternate di andare e restare.

Arriva, però, un momento in cui bisogna scegliere tra il senso del dovere, il rispetto e l’amore che devi agli altri, e quello che devi a te stesso e alla tua vita e, forse, in quel momento ti accorgi che andar via non è più una fuga, ma un’esigenza, che tornare (o restare), al di là dell’affetto che ti lega ai tuoi cari, non è più un’opzione, perché, semplicemente, quei luoghi ti sono diventati estranei e le persone sempre distanti.

Fabio Sarno

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