Come saremo quando saremo grandi? Riflettendo sul nuovo romanzo della scrittrice bresciano-salentina Antonella Caputo, ho ripensato a quando da giovane mi ponevo questa domanda. E mi sono resa conto che a venticinque, trent’anni mi sentivo come Laura all’inizio del romanzo: al buio, tentando di capire cosa stesse succedendo, cercando a tentoni il pulsante della luce. Poi sono successe cose, ho incontrato persone, e lentamente la strada davanti a me ha iniziato a schiarire. E in fondo è quello che succede in questo romanzo.
La bravura di Antonella Caputo non è facile inquadrare dove stia, perché sta in tanti posti: nella capacità di creare una storia che ti lascia costantemente col fiato sospeso e ti sorprende a ogni svolta di pagina? O nella sua scrittura tersa, capace di racchiudere in poche parole, ma decise, immagini perfettamente definite? O forse nei suoi personaggi veri, crudi, palpabili? In tutto questo, sicuramente, e molto di più.
“Il cielo era un groviglio di gomitoli grigi, c’erano tutte le sfumature, da quelle perla a quelle topo a quelle fumo con picchiettature di nero. A tratti e a fatica, qualche barlume di luce cercava di pungere la matassa.”
Quando saremo grandi è un romanzo che parte con lentezza (ma una lentezza positiva) e poi accelera, fino a farti perdere il fiato. Caputo prima ti avvicina ai personaggi, te li presenta uno a uno, ti ci fa tendere la mano. Te li fa guardare nel dettaglio dei loro gesti e poi ti fa scivolare nella loro testa, ad ascoltare in presa diretta i loro pensieri. Laura, Riccardo, Stefano: piano piano, una scena alla volta, ti diventano amici e attraverso i loro pensieri e le loro parole conosci altri personaggi – come Roberta ed Elisa – all’inizio assenti, ma che poi si aggroviglieranno nella storia.
Della storia non si può dire molto senza rovinarne la bellezza nella sorpresa. Si può solo dire qualcosa di ognuno di loro, persone unite da un’amicizia di gioventù che ha poi visto prendere ognuno strade diverse. C’è chi si è perso di vista, e chi è rimasto vicino, almeno nel cuore. E chi si è perso e basta.
Laura è una giovane donna, oppressa dalle pesantezze dei propri genitori difficili e dalla propria incapacità di darsi verso nella vita: studi in stallo, nessun lavoro, nessuna voglia di andarsene dalla propria casa e dalla propria terra. “Io son l’unica cretina che è rimasta qui” dice a Riccardo quando parlano delle vecchie amicizie che sono volate chi a Milano, chi a Roma e chi a Parigi.
Anche Riccardo se ne è andato dalla Puglia, vive e studia a Bologna, ma una certa insoddisfazione permea i suoi gesti e i suoi pensieri. Ma entrambi hanno qualcosa di assolutamente speciale: la loro amicizia, che li sostiene, li consola, gli dà respiro quando l’ansia fa loro mancare il fiato. La loro amicizia prorompe fin dalle prime pagine ed è un’amicizia netta, genuina, carnale, che a volte fa chiedere a Riccardo perché sia rimasta tale. Ma è un’amicizia talmente preziosa che nulla vale il prezzo di sacrificarla.
“Chissà perché noi siamo rimasti sempre solo amici. Meglio così, meglio che non abbiamo combinato mai niente, a come tengo a lei, è davvero meglio così, almeno l’amicizia è salva, t’immagini ad avere avuto una storia? Neanche ci parleremmo più adesso.”
E poi c’è Stefano, con la figlia Gaia. Stefano appare nella sua figura di padre, e tale rimane in tutto il corso della narrazione: Gaia, come forse vuole suggerire il nome, è il suo mondo, l’inizio e la fine di tutto. Laura è incuriosita da questa figura paterna che la sorprende, molto diversa da quella che è suo padre, così freddo e severo, e questo inevitabilmente la condurrà a incrociare la strada di Stefano e a percorrerla per un tratto insieme.
Nel romanzo si intersecano storie e vite perché, oltre a loro tre, compaiono altri personaggi da un unico substrato che li unisce: l’amicizia. Amici vecchi e nuovi, che danno sostegno e conforto, gioia e sorpresa; amici che si ritrovano e trovano soluzioni nell’inferno che improvvisamente Laura e Stefano si trovano a vivere. Gli amici sono una salvezza per tutti e chi, invece, non ha trovato nell’amicizia quel conforto che essa sa dare, alla fine soccombe.
Ma c’è molto altro in queste vite che si intrecciano. C’è la bellezza di un padre innamorato di sua figlia e la fatica di una donna che invece vive la maternità come una trappola, perché la maternità è gioia e rinuncia, bellezza e paura. C’è l’amore incondizionato di una bambina per i suoi genitori. C’è la difficoltà ad accogliere qualcosa di se stessi che ci spiazza, che non ci saremmo aspettati, e che bisogna avere il coraggio di affrontare.
“Essere madre è la cosa più bella del mondo e allo stesso tempo la più angosciante.”
Non posso chiudere senza parlare del finale, cercando di non dire più del dovuto. Perché è un finale speciale: non si può dire che sia un lieto fine né che finisca male, è tutto questo e niente di questo, come in fondo è la vita. C’è aria, e luce, ma ancora tante domande. È un finale che non dice, ma dice; che ti lascia libera di capire, ricostruire, immaginare ciò che forse, fin da subito, un po’ avevi già intuito. Ma l’autrice, sapiente, ti aveva dirottata.
Chissà quando saremo grandi. Chissà come saremo quando saremo grandi. Perché anche quando la strada inizia a schiarire, ancora rimane molto da scoprire.
Elisa Bedoni
E tu cosa ne pensi?