Il titolo di questa raccolta di racconti, Racconti in un palmo di mano, ben rende la sensazione che attraversa il lettore che si trova di fronte a piccole sfere di cristalli contenenti mondi che è possibile osservare e degustare senza nessuna fretta. In un palmo di mano Yasunari Kawabata ci offre immagini quotidiane e consuete. Egli fu uno dei rappresentanti più illustri di un movimento letterario denominato Shinkankakuha, “Scuola della nuova sensibilità”, denominazione che mostra chiaramente l’intenzione di creare un nuovo modo di scrivere grazie ad un indirizzo della parola più ardito: scrivere non è solo descrivere, scrivere è coinvolgere ogni sfera del sentire cercando di imprimere sulla pagina le percezioni senza la mediazione della riflessione.
I personaggi di questi racconti sono protagonisti di una vita assolutamente ordinaria, accolta nel fluire dei giorni e degli eventi; e proprio in questo mondo reale è possibile riscontrare quella trama di relazioni e di significati priva delle protezioni del senso comune. Non è un caso che molti dei protagonisti siano bambini ciechi e donne che si presentano come angeli rivelatori e allo stesso tempo sovvertitori di tutte le verità precostituite, siano esse quelle del senso comune, siano esse quelle della scienza. Gli eroi sommessi di Kawabata si mostrano attraverso stati d’animo dei quali emerge enigmatica una moralità implicita e senza retorica. La letteratura come posizione di enigmi che costringe il lettore ad un salto di qualità rispetto le proprie capacità di comprensione, lo stesso enigma che risulta da un racconto di Kafka o di Conrad, la stessa multiforme e terribile incomprensibilità della vita.
Kawabata non è un nichilista, in ogni racconto il bambino ribelle, la ragazza innamorata, il samurai zen sono impegnati a vivere con pienezza ed entusiasmo; ogni azione vuole essere un incontro con la bellezza senza dimenticare per questo che la vita è anche dolore, sofferenza ed orrore. I personaggi vivono nel mondo e Kawabata con la sua penna cerca con estrema semplicità di rendere giustizia all’esistenza e all’essere di ciascuno di essi: ognuno è un mistero che lo scrittore vuole illuminare con sentimenti che, a loro volta, per paradosso possono illuminare la razionalità mostrando disse il suo aspetto terribile e totalitario.
Vi è una matura accettazione della compresenza negli esseri umani del mostro insieme al dio unita all’impegno di fedeltà verso se stessi che costituisce la vera libertà rispetto al mondo circostante, il vero progetto che ciascuno può scegliere di perseguire.
La delicatezza dei ritratti è l’elemento comune di tutti i racconti, delicatezza che si oppone a un uso descrittivo della parola a favore dell’espressione in racconti come Dio esiste, La donna dei poveri, Uomo senza sorriso, Far felice qualcuno, Figlio del divorzio, solo per citarne alcuni, appare quel tratto di farfalla di chi vuole rivelare l’invisibile senza dover per forza strabiliare: forse il primo Nobel per la letteratura del 1968 aveva scoperto il dono della leggerezza che Calvino nelle Lezioni americane tanto ricercava vedendo in essa l’espressione più elevata dell’essere scrittori.
Davide Mollica
“… col suo aiuto avrebbe fatto felice un ragazzino. Perché se si può, nel corso della vita, fare la felicità anche di uno solo, si fa la propria.”
Yasunari Kawabata è uno scrittore giapponese e premio Nobel per la letteratura nel 1968.
Studiò lettere a Tokyo e fu tra i principali promotori della Shinkankakuha («scuola delle nuove sensazioni»), movimento che si proponeva di cogliere la realtà attraverso l’immediatezza delle sensazioni. Dopo una serie di racconti brevi (una costante nella carriera di K.; poi raccolti negli ineffabili Racconti in un palmo di mano, 1924-63) e di saggi critici, che lo segnalarono per la sua posizione di avanguardia, pubblicò nel 1926 La danzatrice di Izu, seguito da altri capolavori come Il paese delle nevi (1937-48) e Mille gru (1949-51). Lo spirito di K., profondamente lirico e contemplativo, radicato nel buddhismo giapponese, si manifesta attraverso l’allusione, l’atmosfera rarefatta, lo stile limpido e ispirato e la costante evocazione della natura e di presenze femminili – l’adolescente danzatrice di Izu, la geisha Komako e la bellissima e misteriosa Yòko del Paese delle nevi –, figure insieme sublimi e dolorose, emblematiche della sua visione mistica. L’irruzione della civiltà americana in Giappone spinse K. alla ricerca dei valori tradizionali in Il suono della montagna (1949-54). Vennero poi La casa delle belle addormentate (1960-61), opera di leggiadro erotismo, e Koto (1961-62), che ha per protagonista l’antica capitale Kyoto. In seguito K. si dedicò prevalentemente alla saggistica e alla critica letteraria. Morì suicida.
Il libro attualmente è fuori catalogo
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