Numero 20 | Maggio 1999

Prima dell’arrivo della radio, non esistevano o esistevano limitatamente mezzi di diffusione che potessero assolvere a scopi di formazione popolare. È vero godeva di buona salute il libro, la stampa, le conferenze, ma erano forme di comunicazione che si avvalevano di terminologie e strumenti riservati a gruppi sociali ristretti. Con l’avvento della radio le cose cambiarono radicalmente, infatti la possibilità di rivolgersi contemporaneamente a una massa illimitata di persone, la fece diventare la regina di un mondo attento, curioso, ma destinato senza di lei, ad ancora lunghi anni di oscurantismo. Probabilmente il suo inventore, Guglielmo Marconi, di padre italiano e madre irlandese, non si rese conto del carattere rivoluzionario insito quasi geneticamente nella sua scoperta: la comunicazione via etere, la comunicazione che permette di informare, divertire, istruire e infine non da poco, far pensare, riflettere, non rimanere all’oscuro della propria coscienza.

Poi la storia è nota: prima il cinema, poi la televisione e infine il grande fratello Internet. Si potrebbe affermare che anche la fine è nota: la radio, solo un lussuoso soprammobile da esporre, un pezzo di antiquariato scovato nella soffitta del nonno… E invece deve essere accaduta un’anomalia nel sistema, in questi anni di un millennio che finisce (e non ci sembra che si stia concludendo né bene, né in maniera intelligentemente pacifica, il riferimento alla guerra nei Balcani non è per nulla casuale) la radio è tornata di moda, giovani e meno giovani la ascoltano e interloquiscono con lei forse in maniera più sana che con altri mezzi di comunicazione. Con la radio si è ricominciato a parlare di radiodramma, «il Teatro da vedere con le orecchie». Poi una collana editoriale della Rai-Eri: Centominuti, la radio da leggere, drammi, racconti, romanzi brevi appositamente scritti da scrittori affermati e autori esordienti, per questo straordinario mezzo di comunicazione. Nel 1995 in occasione delle celebrazioni del centenario dell’invenzione della radio, Antonio Tabucchi scrive un testo, una pièce radiofonica Marconi, se ben mi ricordo andata in scena su Radiotre il 16 settembre 1995 per la regia di Giorgio Bandini. Un Tabucchi inedito e a versi sorprendente, un omaggio al mondo della radio di per se stesso anarchico, privo in parte delle regole strette e stringenti del concetto di audience. Uno studio radiofonico dell’allora Radio Londra del 1935, due anniversari da commemorare, due eventi accaduti nel 1895: «Quarant’anni fa uno scienziato italiano inventava… la radio, la voce che giunge in tutte le nostre case e che, oltre a tenervi compagnia, vi informa su quello che succederà nel mondo. Prego musica», mentre il 29 gennaio del 1895 il governo elvetico con un decreto di espulsione decise di mettere alla porta degli anarchici che a Lugano avevano trovato rifugio. Fra di loro Pietro Cori e Alberto Meschi. Sette personaggi e un coro di tre ragazze che canta canzoni anarchiche e canzoni inglesi degli anni, uno studio radiofonico che si trasforma in un gioco di continue metafore di un ‘allusiva memoria del passato per cercare di capire, di intuire il presente, in sottofondo la futura (per loro) guerra civile spagnola e l’amara profezia dell’improbabile chiromante dello scrittore George Orwell «Vedo morte e distruzione. E città rase al suolo. Ecco questo è quello che vedo». Il professor Taivan, esperto di storia, Alberto Meschi detto l’Uomo di Pietra e Louise Liberté sono gli altri invitati alla trasmissione, presentati dal conduttore del programma Stephen Craigh che caparbiamente, e contro il volere del direttore della radio vuole occuparsi degli anarchici, dar voce ai loro ideali in un’Europa soffocata dal totalitarismo, dominata politicamente dal fascismo e dal nazismo. Una metafora, dicevamo, che agli occhi di un maggio del 1999 appare ancora di più provocatoria, come il profilo di un mondo che non intravede più, neanche il barlume della verità, ma vuole solo menzogne buoniste e la migliore strategia di mercato possibile. Un finale inatteso, per un’altra storia da poter raccontare, ci coglie di sorpresa e ci lascia in balia di incerte zattere, posizioni acquisite, per una volta a pensare.

Maria Caterina Prezioso

Il libro

Marconi, se ben mi ricordo di Antonio TabucchiAntonio Tabucchi
Marconi, se ben mi ricordo
Rai Eri, 1997
Collana: Centominuti
54 p., brossura

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