
Anno 1 | Numero 2 | Ottobre 1997
“… Se vado indietro nel tempo e penso a come la parola ebreo è entrata nella mia vita, mi vedo seduta su una seggiola azzurra nella camera dei bambini. Al di là della finestra vedo passare bambine con i fiocchi simili al mio: ‘Sin Juden’, la mia fräulein ripete”.
Questo è uno dei tanti ricordi di Rosetta Loy, autrice de La parola ebreo, un libro in cui attraverso la visione apolitica di una bambina, si narrano le vicende tristemente note che videro protagonisti gli ebrei. La bambina è spettatrice inerme di una farsa terrificante a cui, ancora oggi si cerca di dare una ‘logica’ risposta (ci sarà?).
Rosetta appartiene all’alta borghesia romana, ad una classe sociale che vive la guerra non in quanto ‘guerra’, ma come semplice ‘momento di confusione’. Le piacevoli abitudini non cambiano: le passeggiate al parco con la governante, le gite al mare con tanto di autista, le vacanze invernali a Cortina… Nulla sembra scalfire un’esistenza ovattata e palesemente agiata. Appare strano a questa bambina ‘per bene’ che la sua compagna di giochi, improvvisamente scompaia e che la dolce signora Della Seta, vicina di casa, venga caricata a forza su di un camion… “Adoro la signora Della Seta, anche se è ebrea” sembra giustificare Rosetta.
Le leggi razziali furono approvate tra il 6 e il 7 ottobre del 1938 e sancivano i criteri di appartenenza alla razza ariana e stabilivano i provvedimenti da adottare per i non ariani. Ebreo è chi ha entrambi i genitori ebrei, e chi ha un genitore ebreo e uno straniero (l’ibridismo era lo spauracchio del tempo!). E ancora, le limitazioni e i divieti per gli ebrei: dal divieto di insegnare a quello di associazione: essere ebreo è un’infamia! In tal modo nasce il concetto di ‘razza ebrea’ e di ‘razza ariana’…
L’ingegnosità del sadismo dell’epoca non ha freni: per il riconoscimento (la stessa Rosetta non riesce a trovare nessuna differenza tra lei e i suoi amici ebrei) compare la Magen-David (la stella di David) di stoffa gialla da cucire sugli abiti, fino al vero e proprio “marchio a fuoco” di un numero nei campi di concentramento. La logica dell’illogicità è evidente facendo ricorso all’etimologia della parola ‘razza’ che deriva dal francese antico ‘haraz’ e significa ‘allevamento di cavalli’ … Non erano forse trattati peggio del bestiame? Caricati sui camion o su vagoni ferroviari e trasportati verso un mattatoio speciale. Scrive Primo Levi: “Il lager per noi non è punizione: per noi non è previsto un termine, e il lager altro non è che il genere di esistenza a noi assegnato, senza limiti di tempo”.
Uomini privati di tutto, soprattutto del diritto vitale di essere- in quanto uomini, assistono attoniti ad una spoliazione rapace e ingiustificata, rivedono il passato con manifesta malinconia, soggiacciono al presente con forzata rassegnazione, si arrestano con un brivido di terrore al pensiero del futuro.
La scritta che campeggia all’entrata di Auschwitz è un ulteriore crudele dileggio, insensato per chi si è visto privare del lavoro: Arbeit Macht Frei (il lavoro rende liberi). Macabra ironia! In un lager si conquista la libertà quando le ceneri del corpo cremato si librano nell’aria dalle bocche sempre sature di quei Camini che sovrastano come sentinelle instancabili i campi di morte.
I Camini fumano ininterrottamente anche quando la bambina di buona famiglia conosce a Cortina una nuova compagna di giochi, non ha una stella gialla ma in compenso è stata damigella alle nozze dell’ultima figlia del Re! Vanno d’accordo: hanno perfino la stessa ripugnanza per le caramelle all’anice che sono costrette a mangiare per educazione! “… La minestra delle cucine pubbliche è orribile, ma si verifica sempre una scena che sembra l’attacco degli avvoltoi ad una carogna… La cosa principale è avere qualcosa da mangiare per sopravvivere, solo sopravvivere.” scrive Dawid Sierakowiak nel suo diario dal ghetto di Lodz.
Lo stupore e l’incoscienza verso ciò che sta succedendo è dilagante: perché tanto accanimento contro persone che poco tempo addietro godevano degli stessi privilegi degli altri… Non erano forse italiani? “Eppure sono bravissime persone, anche se ebree” il commento è unanime.
Gli eventi non sconvolgono Rosetta che trova addirittura ‘esaltante’ sentire l’allarme per un aereo che sorvola Roma. Meno piacevole per Dawid che annota: “Dio, che cosa sta succedendo? Panico, esodo in massa, disfattismo. Tutti fuggono terrorizzati, ma senza una meta precisa.”
Rosetta Loy dà la visione di chi è stato al di qua del ‘filo spinato’, nelle ultime pagine del libro confessa di sentirsi in colpa per la sua indifferenza: poteva fare qualcosa e non lo ha fatto! Fare cosa? Bloccare quegli ufficiali delle SS che calpestavano con tracotanza sia le scale del palazzo per catturare gli ebrei, sia la loro dignità di esseri umani? Fa tenerezza pensare che una bambina potesse fermare quella furia sanguinaria (quella furia che uccideva anche i bambini) per salvare la sua adorata signora Della Seta e il suo amico Giorgio Levi…
Scrivere un libro è equivalso a renderne viva la memoria: l’importante è non dimenticare.
L’eccidio degli ebrei di Europa è stata un’impresa alla quale innumerevoli persone hanno contribuito. Dallo zelo alla complicità, dall’accondiscendenza alla passività, tutto è servito al suo compimento. La macchina, una volta azionata, ha continuato a funzionare per inerzia: il crimine c’è stato ed è stato un crimine di burocrati.
Tiziana Masucci
“Discriminare senza perseguire.” Quale filo sottile per dividere gli uomini tra buoni e cattivi. Fra innocenti e colpevoli. Perché se poi altri si accaniscono nel “perseguire”, questo riguarda loro, i carnefici
Rosetta Loy
Rosetta Loy è nata e vive a Roma. Presso Einaudi ha pubblicato La bicicletta (1974, Premio Viareggio opera prima), La porta dell’acqua (1976), Le strade di polvere (1987, Premio Campiello e Viareggio), La parola ebreo (1997, Premio Fregene e Rapallo-Carige), Ahi, Paloma (2000), Nero è l’albero dei ricordi, azzurra l’aria (2004, Premio Bagutta), Forse (2016) e Cioccolata da Hanselmann (2016). Per la collana «Scrittori tradotti da scrittori» di Einaudi ha tradotto Dominique di Fromentin e La principessa di Clèves di Madame de La Fayette. Ha inoltre pubblicato, presso altri editori, L’estate di Letuqué (Rizzoli 1982), All’insaputa della notte (Garzanti 1984), Sogni d’inverno (Mondadori 1992), Cioccolata da Hanselmann (Rizzoli 1995).
Il libro nel 1997
Rosetta Loy
LA PAROLA EBREO
Einaudi, Gli Struzzi, 1997
L. 16.000
Oggi in libreria
Rosetta Loy
La parola ebreo
Einaudi, 2006
Collana: Super ET
156 p., brossura
€ 10,00
“Meditate che questo è stato: Vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore.”
Primo Levi
E tu cosa ne pensi?