Per una lira è il titolo di una canzone di Lucio Battisti che comincia così: Per una lira io vendo tutti i sogni miei. E poi la voce a strisce di Battisti racconta la storia di qualcuno che a malincuore si distacca da una parte di sé. Ascoltandola, ho sempre pensato a chi scrive. In particolare agli esordienti. Chi, per la prima volta (e spesso per una lira) consegna il proprio destino al mondo. Nell’incertezza e nell’imprecisione, un esordio insegna a scrivere più di un capolavoro (anche quando le due cose coincidono: David Foster Wallace, La scopa del sistema, 1987). Per una lira è uno spazio dove leggendo le nuove voci della narrativa, italiana e straniera, metteremo in luce alcuni aspetti di un romanzo legati al gesto dello scrivere per la prima volta, ovvero alla scoperta della propria voce.
Alessandra Minervini, scrittrice, editor e writing coach. Il suo primo romanzo si intitola Overlove, LiberAria 2016. Il suo sito è alessandraminervini.info. Qui gli articoli pubblicati su exlibris20.
New York, fine anni Sessanta. Quando i suoi genitori sono ormai pronti a ritornare in Giappone, la giovane Yukiko Oyama decide di restare negli Stati Uniti, inebriata dall’amicizia con l’aspirante modella Odile, dall’energia della Grande Mela e dal desiderio di diventare un’artista.
Connecticut, 2016. Jay, il figlio trentacinquenne di Yukiko, proprietario di una galleria d’arte, in seguito alla morte del padre è costretto a riallacciare i rapporti con la madre, da cui è stato abbandonato quando aveva due anni, e a fare i conti con una ferita mai rimarginata.
Il senso di perdita dell’identità, l’amore totalizzante e distruttivo per l’arte, il significato dell’amicizia e dei legami famigliari: in Innocua come te i destini di Yukiko e Jay si inseguono lungo tutto il libro, alla ricerca di una risposta al doloroso strappo che li accomuna.
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Lezione n. 15
Scrivere con i cinque sensi
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Innocua come te è un esordio da leggere. Non solo perché ha vinto importanti premi come il Betty Trask Award e l’Authors’ Club Best First Novel Award. Ve lo consiglio per le luminose doti narrative dell’autrice, la saggista americana, di mamma giapponese, Rowan Hisayo Buchanan. Innocua come te è la storia di una donna che, alla fine degli anni Settanta, abbandona tutto, figlio compreso, per diventare un’artista. Il romanzo si svolge su due piani temporali, la fine dei Sessanta a New York e il 2016 tra New York e Berlino. Ieri e oggi. Ci sono vari approcci per raccontare questo romanzo: la doppia scansione temporale delle storie, passato e presente che segna la trama legata a filo doppio al tema della maternità; i dialoghi brillanti da cui prendere spunto, soprattutto per chi cerca un romanzo in cui i dialoghi portano avanti la storia attraverso la voce dei suoi protagonisti (come dovrebbe essere, sempre). Ho scelto, però, un aspetto della scrittura della Buchanan che ritengo essenziale sia per approcciarsi al libro sia per chi sta scrivendo a sua volta il suo (primo) romanzo. Quest’approccio riguarda la lingua con cui la storia è raccontata. Una lingua volutamente percettiva, in cui i cinque sensi e le percezioni che ne derivano fanno da specchio riflesso al racconto. Come avviene già nell’incipit:
1968, Oro quinadrone.
Un giallo abbrustolito concepito per l’industria automobilistica. È il giallo dei lampioni riflesso nelle pozzanghere di notte, del daikon e del becco delle anatre.
Trattandosi di una storia di famiglia, l’espediente letterario di trasfigurare emozioni e gesti dei personaggi visualizzandoli attraverso colori e suoni e odori e sapori propri del mondo dell’autrice come avviene nell’incipit citato, rende universale ciò che normalmente è legato al personale. Un modo per entrare nelle case di Yuki, la protagonista, e di Odile, la co-protagonista. Ma anche nelle diverse epoche e nelle miscelate tradizioni tra il nipponico e l’americano. Leggendolo scoprirete che esistono vestiti cremosi come l’interno di una banana; abbracci che sanno di gommini di matita e di lana; ciliegie che sanno di primavera nonostante l’inverno.
Per certi versi quest’esordio ne ricorda un altro, altrettanto di pregio, Umami della messicana Laia Jufresa (Edizioni Sur, 2017, trad. Giulia Zavagna). Anche in questa storia, di famiglie e tradizioni, i sapori e gli odori di un condominio, molto particolare, diventano la metafora di un mondo interiore che finisce per appartenere ai lettori.
In Innocua come te c’è tutto un mondo di contrasti famigliari e generazionali, tragici, che si nutrono dello sguardo multisensoriale dell’autrice. Un esempio in tal senso, a pag. 72, riguarda una scena commovente quando la protagonista Yuki, per una serie di scelte e vicissitudini, ripesca dal cassonetto dove l’ha riposto un contenitore con il cibo giapponese che la madre le aveva preparato in segno di affetto e prossimità, prima di separarsi. La scena ricca di percezioni sensoriali restituisce perfettamente l’idea di distacco e di vita nuova a cui la protagonista sta andando incontro.
“Attraverso la plastica trasparente vide una scheggia marroncina di anguilla. Era un sapore di cui aveva ricordi vaghi che risalivano a un viaggio di molti anni prima. (…) Il contenitore giaceva accanto a delle bucce di banana e ad altre cose più schifose. Una mosca atterrò sulla plastica. Yuki allungò una mano e aprì il coperchio. La carne era dolce, gommosa, ma davvero deliziosa. Tenne in bocca alcuni istanti l’ultimo boccone. Aveva barattato quel sapore con una vita nuova e una amica nuova.”
Mentre si scrive una storia si ha la sensazione di compiere un salto nel vuoto. Ogni salto si distingue dal successivo attraverso l’osservazione che è il risultato di un allenamento costante. A volte è un talento che preesiste alla scrittura. Ma il più delle volte si esercita per tentativi.
Osservare l’esterno attraverso i sensi è il migliore esercizio per mostrare l’interiorità di un personaggio. Allenandosi ogni giorno, si scopre che si conosce ciò che si desidera guardare (e scrivere). Bisogna solo vincere i filtri personali.
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