Una delle parole più ricorrenti in Saudade è anche l’elemento chiave della raccolta: il Sogno. Una realtà onirica costruita su due pilastri principali: l’acqua di mare o di fiume e il cielo, che definiscono la geografia di paesaggi dove anche i ricordi sfumano nell’immaginazione divenendo così ricordi sognati.

Da Fluttuano paesi, sezione Saudade:

«Fluttuano parenti in paesi del passato, carico di voci e generato
dagli zoccoli e da carri, sul limen del paesaggio fluttuano in paesi imprecisabili – …»

Come scritto a pag.35, il termine Saudade può essere inteso come «intenso desiderio di qualcosa di assente perché perduto o non ancora raggiunto» accomunando così il passato al futuro, uniti entrambi dalla stessa vaghezza tipica del sogno.

Una scrittura enigmatica, una mappa dei termini, con le singole parole a costituire le diverse tappe di un percorso che si snoda nel corso di viaggi su navi o tra le costellazioni celesti con il cielo che si riflette nell’acqua e viceversa.

Da Perchè quel rivo mi piaceva (sul Po), sezione Saudade:

«…Le celestiali acque puntavano più al largo, dentro il cielo,
per incantevoli sentieri lo spogliarsi del fiume verso il cielo quasi blu…»

Diversi i riferimenti all’astrologia, intesa come rotta fra le stelle speculare alla rotta per mare o lungo il fiume.

Da La Casa dodici, sezione Casi del mondo, Case dell’amore:

«La Casa dodici è uno spazio ospitale, tutte le struggenti grazie piovono
e segnano
di religiose dimore i rossi sogni struggenti di sangue piovàno esse parlano –
da soffitti immensi o a cielo aperto:
nella casa dodici
noi si entrerà aux splendides villes
Nella casa dodici si procede e si nuota come pesci
nell’infinito rotante delle lune.»

Ogni parola è una tessera del puzzle che si va formando nelle tre sezioni del libro e l’Autrice come un pescatore prende all’amo verità nascoste nelle profondità degli abissi alla luce di una lanterna ad olio di sogno.

Ma le navigazioni oniriche si legano alle navigazioni dei migranti e le trasfigurano. La realtà vista attraverso uno specchio d’acqua in perenne movimento viene deformata rendendo ancora più incisiva la denuncia sociale che si esprime con immagini poetiche incastonate come un gioiello nell’economia del discorso. Ad ogni immagine, ad ogni quadro, corrisponde una tappa del percorso nella rotta verso la speranza, traghettati dal sogno attraverso l’oscuro oceano della drammatica realtà.

L’acqua come portatrice di caos quindi e anche di morte; un’acqua che ricorda le acque primordiali e caotiche del Nun degli antichi egizi, la divinità primigenia . Un caos dal quale però possono venire partorite anche la vita, la speranza e la Verità. La realtà irrompe come una tempesta colpendoci allo stomaco con la sua crudezza. Da Augusta, Il naufragio, sezione Le Prose:

«…Una forza centrifuga a onde, disegna un movimento come cullato, una leggera distonica,
musica spezzata: sono i morti, i semplici (e bellissimi) morti che volano nel cielo delle acque profonde, al largo della costa
libica, nel blu scuro e macchiato di morte, del Mediterraneo.
Quelle dita tumefatte hanno perso escrescenza, dopo che reso molle e gommoso, lo scheletro tutto, ma non hanno esaudito un destino, o
l’hanno fermato alla domanda,
impigliata nell’enigma dei gesti, delle strette ultime dei tumefatti: queste voci vivono nella gola del mondo.
E loro, gli afflitti, i perseguitati, gli assetati di giustizia, lo hanno sottovalutato il peso del mondo.

Questo è il peccato dei poveri di spirito. La potenza della realtà che sconfigge
il loro atavico, il loro grande – di già perduto sogno – quello di vivere nella vita del mondo l’esistenza, viverla nella pace l’esistenza di sé, e dei figli.
Nell’onesta ricerca di una nuova patria – matria terra; in un esodo che non si è scelto. Ora questo immenso camposanto è marino, l’assenza di pietà umana ha scelto il colore dell’acqua per manifestarsi.
Un cielo capovolto e profondo pieno di pesci, ora in frotte, ora in fuga…»

L’autrice descrive l’Odissea dei migranti, avvenuta ad Augusta nel 2016, come se l’avesse vissuta e la ricollega alla sua storia personale.

Da Sono una nave libica, sezione Casi del mondo, Case dell’amore:

«…ero una nave libica sferzata,
ogni giorno e ogni notte a viaggiare, rifuggendo, e poi morire;
fiato di molle rabbia ragionata, stortura del controllo sulle vite trattate, e poi vendute
come la mia, migrante…»

Presenti anche riferimenti alle sacre scritture a alla religione cristiana vista come sorella del sogno e pertanto, alla sua stregua, viatico per capire la realtà e suggerne il significato.

Quindi il sogno, il viaggio lungo il fiume e per mare, la religione; ma anche l’ecologismo.

Da La piantina, sezione Saudade:

«Sono in pericolo, da anni invece della cerca della luce, clorofilla e verdi sali
vedo una pianticella da curare
il cui veleno proviene dal suo centro, della terra un buco invalicabile e profondo che
non dà spazio ad altro…»

E la maternità.

Da Quando sei nata, sezione Saudade:

«Ho visto il mio scoiattolo acquattarsi:
per me era notte, per lei era mattino, Essa il suo cuore lì vicino
al mio respiro mi auscultava,
ma invisibile si spogliava di me (il mio tesoro) e tutti ricamati i suoi capelli,
io la vidi,
dalla testa calvo rosata di calura, mi silenziò per un baleno gli occhi, i suoi erano viola scuro…»

L’Autrice crea legami trasognati fra le cose definendo sé stessa e il cosmo. Montale scriveva « non chiederci la parola che squadri da ogni lato l’animo nostro informe…non domandarci la formula che mondi possa aprirti».

Mariapia Quintavalla con Saudade (Puntoacapo, 2024) riesce nell’impresa.

Costanza Canali