Bill Burr, Ricky Gervais e Dave Chappelle. O ancora Sarah Silverman e Hannah Gadsby. Sono solo alcuni dei più noti stand up comedian del momento, la cui popolarità in Italia è cresciuta anche grazie al fattore Netflix, che ha inserito i loro show nell’offerta streaming, affiancandoli a quelli di alcuni esponenti italiani del genere. Nata come espressione della scena comica in Usa, in Italia è considerata un fenomeno di nicchia, ma ancora per poco pare, visto il successo e l’interesse crescenti che sta riscuotendo da alcuni anni grazie a comici come Edoardo Ferrario, Saverio Raimondo, Francesco De Carlo, per esempio, fra i più conosciuti attualmente. Un genere che per noi italiani suona diverso e originale, abituati a ridere in modo molto differente. In realtà, andando indietro nel tempo e applicando definizioni non troppo rigide, scopriamo che questo genere ha dei precedenti di casa nostra già da diversi decenni. Ma andiamo con ordine e, prima di capire perché c’è un interesse sempre maggiore per questo genere qui da noi, cerchiamo di capire meglio di cosa si tratta.
Un comico e un microfono, niente più?
Citando un interessante articolo de Il Post, che si è interrogato sulla stand up comedy come alternativa possibile nel panorama comico italiano,
“Fare la stand up comedy in Italia non è facile: prima di tutto perché non è facile spiegare che cosa sia, la stand up comedy, e in che senso Ferrario, De Carlo e Raimondo facciano una cosa diversa da quella che fa da un paio di decenni Enrico Brignano, per fare un esempio, con successi imparagonabili. O da quella che facevano prima di lui Beppe Grillo, Roberto Benigni, Teo Teocoli e quasi tutti i più grandi e famosi comici italiani. «La differenza è l’ambizione», spiega al Post Saverio Raimondo. «Brignano aspira a un teatro, io a un locale di musica dal vivo. La postura è molto diversa: in Italia è spesso teatrale, lo stand up comedian di solito è più musicale». Questa definizione convince anche Edoardo Ferrario, secondo il quale la differenza tra il cabaret a cui è abituato il pubblico tradizionale e la stand up comedy è come quella tra swing e be bop: «è sempre jazz, ma suona diverso». Essere più scientifici e rigorosi nella definizione è complicato: l’espressione stand up comedy non indica un genere di contenuti precisi, né uno stile omogeneo di esporli, e da tempo non definisce più nemmeno un movimento esclusivamente statunitense. È piuttosto, secondo molti, la ‘forma zero’ della comicità: un microfono, un’asta, uno sgabello, e questo basta a definirla. Ma è fondamentale anche il luogo in cui vengono piazzati, l’asta del microfono e lo sgabello”.
Noi di Exlibris20 lo abbiamo chiesto anche a Nicola Selenu, stand up comedian nonché fondatore della community Stand Up Comedy Italia, che ci ha spiegato che “è una forma di performance umoristica dove una persona comica (e non un personaggio) si rivolge direttamente a un pubblico dal vivo attraverso un microfono. In Italia si tende a prendere un singolo comico americano di riferimento (per esempio, Bill Hicks o Louis CK) e definire la loro stand up comedy come la forma unica e autentica: per quanto si tratti quasi sempre di mostri sacri, bisogna essere consapevoli che la stand up comedy è in realtà una forma di comicità molto libera e che si declina quindi in un’infinita gamma di varianti”. Anche Saverio Raimondo concorda su questa visione. Come ci ha dichiarato, secondo lui la stand up comedy “è un monologo comico in costante dialogo con il pubblico, divagante e informale, e ovviamente divertente. Nella comicità italiana il comico tipicamente indossa delle maschere; al contrario, qui ci si smaschera”.
O piuttosto un genere letterario?
Considerata la sua quasi assenza di regole, da questi primi commenti si comprende che dare una definizione univoca di questo genere non è semplice. Secondo i docenti di Comedy Studio – scuola di cabaret, stand up e teatro comico di Torino – la stand up comedy potrebbe essere definita in estrema sintesi Rock Parlato. “Ma per rispondere più diffusamente possiamo dire che sì, la stand up comedy è una forma di comicità, ma è anche un genere letterario a sé stante o – come direbbe Filippo Losito, uno dei nostri docenti – il ‘vero ultimo genere letterario americano’. E quindi che ci azzecca con noi italiani, figli della commedia dell’arte e di una comicità in apparenza completamente diversa nei suoi stilemi? La risposta ce la stiamo dando giorno per giorno: la stand up comedy in Italia c’è e in molti, soprattutto giovani, iniziano ad amarla. Si rimodella in base alla società di cui diventa voce scomoda e irriverente. Ma rimane senza dubbio una forma di comicità, la risata rimane lo strumento necessario e imprescindibile”.
O persino un’esperienza artististica completa?
Sulla rivista theconversation.com è uscito un articolo che ha voluto segnalare il rischio di estinzione che sta correndo la stand up comedy a causa del blocco di performance dal vivo imposto in conseguenza della pandemia. Una situazione che in ambiente anglosassone si fa sentire più forte, ma che è presente anche qui in Italia. In questo articolo, compare un’interessante interpretazione della stand up comedy ancora diversa e per certi versi ancora più ampia di quelle esplorate fin qui:
“Standup comedy is not created purely by the performer, but as a collaborative production between the performer, the audience, the venue and the promoter. In the same way a theatre is arranged to support dramatic performance or a gallery is lit to display paintings, so too must a standup comedy gig be presented in such a way that it contextualises the performance to come – the iconic image of the single microphone on a stand in a spotlight is evocative of standup comedy without anything needing to be said. […] At first glance a performance may seem fleeting and inconsequential, something that will only be remembered by the audience that witnessed it. But, for the comedian, each performance shapes and recontextualises their set ready for the next gig. A standup comedian may work on a routine for years, honing and shaping each line, each joke and each pause with every performance. So each gig creates something unique that is tied inexorably to the people and place who witnessed it”.
In altre parole, non si tratta solo di un comico e del suo microfono, ma anche dello spazio che lo accoglie, del pubblico che lo ascolta, della sinergia che emerge fra tutti questi elementi che ogni volta è diversa. In questo assomiglia a un’esperienza artistica a tutto tondo, dove il fatto che ci siano delle risate è solo un aspetto formale caratteristico del mezzo.
Un format liquido, ma dal contenuto solido
Ora che sappiamo qualcosa in più riguardo a cos’è, o cosa può essere, la stand up comedy, diventa interessante capire se c’è uno standard, per quanto minimo, per questa forma di comicità. Nicola Selenu ci spiega che “i paletti sono molto pochi:
- il comico non è un personaggio, è se stesso, con le ovvie finzioni/esagerazioni funzionali alla risata;
- il comico ha di fronte a sé un pubblico dal vivo;
- il comico utilizza un microfono e poco di più: niente costumi, niente “prop” particolari, ecc. Potrebbe invece avere uno strumento musicale.
Qualunque battuta esprime in una certa misura una qualche opinione, ma nella stand up comedy, rispetto ad altre forme di comicità, è spesso più chiaro che il comico ha delle sue opinioni”.
Ecco, questa cosa dell’opinione è uno degli elementi che distingue il genere. I docenti di Comedy Studio ci confermano che “il valore aggiunto sta nel contenuto. Per mettere in scena una performance di questo tipo sono necessarie molte basi, tra cui teatrali e comiche. Non a caso i migliori stand up comedian americani sono attori completi ed è proprio questa la loro forza”.
Il punto oggi in Italia
Ma a che punto è questa comicità in Italia? Quanto è conosciuta? Ha successo? C’è qualcuno che la vuole proporre nei nostri teatri? Secondo Nicola Selenu, il momento giusto per la stand up comedy è sicuramente arrivato, anzi, “lo è già da moltissimi anni. Se da un lato penso di avere dato una forte spinta alla diffusione della stand up in Italia con la mia community, non l’ho certo inventata io. Nel nostro Paese si fa almeno dai tempi del Varietà, della Rivista e successivamente dell’Avanspettacolo… aveva semplicemente un altro nome. Ed è già arrivata in televisione! Negli ultimi 50 anni in Italia abbiamo avuto stand up comedian d’eccezione e non si può negare abbiano avuto un meritato successo. Per citarne alcuni: Walter Chiari, Giorgio Gaber, Roberto Benigni, Beppe Grillo, Daniele Luttazzi”.
Concorda Comedy Studio, che ci dichiara che “il momento giusto è già arrivato 4 o 5 anni fa, siamo quasi pronti per un altro salto comico-evolutivo. Ma adesso in Italia sarebbe il momento giusto per ridare dignità alla cultura! Gli spettacoli di qualità ci sono, ma il live soffre e avrebbe bisogno di palchi teatrali, e i teatri hanno bisogno di sovvenzioni”.
Uno spunto di riflessione cui aggiungiamo anche quello rilevato da Il Post:
“Negli Stati Uniti, dove il genere esiste da diversi decenni e i locali di stand up comedy esistono praticamente in ogni città, è nota e molto raccontata l’importanza attribuita dai comici alla solidarietà tra colleghi, alla condivisione delle esperienze, all’osservazione e allo studio del lavoro altrui. Tutte cose che in Italia non sono finora state possibili, per assenza di una vera categoria e di un vero mercato: ma l’ambiente è cresciuto rapidamente negli ultimi anni, ed è probabile che la visibilità concessa dalle piattaforme di streaming contribuisca in maniera determinante alla maturazione del movimento”.
Sull’importanza svolta dalla Rete nel rendere più visibile questa comicità concorda anche Saverio Raimondo, che ci dice: “da una parte credo ci sia una maggiore alfabetizzazione comica grazie a Internet; dall’altra un più diffuso individualismo, che è alla base della stand up”.
Visioni di futuro possibile
Il fermento che si riscontra in questi ultimi anni fa presupporre che un futuro per questo genere anche in Italia ci sia. Nicola Selenu testimonia dall’esperienza diretta sul campo: “l’interesse tra le nuove generazioni è fortunatamente molto alto! Vedere la quantità di giovani che viene alle nostre serate dal vivo scalda il cuore. Sul serio. Molti provengono dall’ambiente universitario, dove c’è più fermento culturale, ma molti giovanissimi conoscono la stand up (e la nostra community) grazie a Internet.” Una conferma che viene anche da Il Post:
“È in parte un discorso generazionale: YouTube prima, e i servizi di streaming poi, hanno abituato sempre più i giovani a un linguaggio comico diverso da quello televisivo, sia nei codici che nei temi. Dopo le difficoltà iniziali dovute a un pubblico talvolta poco disciplinato e consapevole, racconta Ferrario, lui e i colleghi con cui mosse i primi passi nella comicità dal vivo videro confermata la loro scommessa iniziale: «Se proponi qualcosa di originale, la gente ride: senza che ci sia bisogno di spiegare la differenza tra stand up comedy e cabaret»”.
L’interesse in aumento è ribadito da Comedy Studio: “In questi 10 anni della nostra attività abbiamo visto mutare le ambizioni artistiche dei nostri allievi. Adesso gran parte delle nuove generazioni è molto interessata alla stand up comedy mentre il personaggio comico, il tormentone e i giochi di parole (tecniche comiche sulle quali si sono basati gli ultimi 20 anni della comicità italiana) sono ritenuti superati. Ora molti dei nostri allievi vogliono provare a diventare dei comedians, in tanti ne riconoscono persino il valore catartico. Non è infatti insolito ricevere dei grazie dal pubblico per aver affrontato dei temi scomodi portando un punto di vista che è una boccata d’aria anche per chi soffre. La risata è sempre stata e rimane un motore potente, soprattutto se legata a doppio filo alle tenebre di cui siamo fatti”.
La battuta finale
Ricapitolando: una certa tradizione cui fare riferimento in Italia c’è, a suo modo. Un futuro possibile cui puntare in Italia c’è, a suo modo. La stand up comedy sta dunque seminando. Certo è che il momento non è dei migliori, perché la pandemia sta affossando l’attività culturale in generale, inclusa quella degli eventi dal vivo. La voce di Nicola Selenu parla chiaro: “La stand up comedy è fatta per essere vista dal vivo. Ma in questo preciso momento, causa pandemia da Coronavirus, non è possibile farlo in sicurezza. Come Stand Up Comedy Italia, dopo un bel po’ di serate saltate causa lockdown, ho deciso di sospendere tutte le attività organizzative fino a che la situazione non si sarà stabilizzata. È stata per me una decisione molto amara, perché questa situazione in cui ci troviamo mette in seria difficoltà artisti e gestori dei locali, ma devo fare la mia parte per tutelare la salute di comici e pubblico”.
Per regalarci un sorriso nonostante tutto, citiamo l’augurio del The Conversation, che guarda a un contesto in Gran Bretagna, ma che con lungimiranza può essere declinato anche sulla nostra realtà locale:
“Standup comedy will survive. The current restrictions brought by the pandemic are breeding technical innovation through virtual performances that are accessible to anyone with Internet access. Now is the ideal time to invest artistic credibility in something that is a fundamental fixture of British life and a very broad church. Invest now in “art for arts sake” to ensure the future of standup comedy, for all our sakes”.
Daniela Giambrone
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