Come si fa a raccontare il Mediterraneo?
Il mare interno per eccellenza. Il mare tra le terre. “Quanti tempi, quante civiltà, quante genti, religioni, vite, amori, terrori, passioni e paure si sono accavallate su questo mare?”.
Amedeo Feniello e Alessandro Vanoliprovano a ricostruire tutte queste complesse interazioni culturali, sociali ed economiche del Mediterraneo a partire dagli oggetti che senza sosta hanno attraversato questa distesa d’acqua. “Oggetti. Quotidiani e non. Strani e non. Ordinari e non. Oggetti però dotati di voce e capaci di raccontare cosa è stato questo mare, lungo i secoli”.
In 🔗Storia del Mediterraneo in 20 oggetti (Laterza, 2018) a viaggiare nel tempo e nello spazio sono venti elementi comuni o simbolici. Il pane, la bussola, l’anfora, la moneta, la chitarra e la padella. Ogni cosa è il un punto di partenza per narrare eventi storici, migrazioni, scambi commerciali e influenze culturali, dimostrando così come gli elementi materiali possano essere più che semplici “cose” ed essere invece sintesi e custodi di profonde interazioni tra popoli e culture.
Non è tanto il racconto di natura archeologica che interessa ai due autori, che pure sono due storici, quanto la ricostruzione di scambi e ibridazioni, di incontri e scontri tra visioni del mondo e culture materiali elaborate al margine di uno stesso mare. La prospettiva d’analisi è quella documentaria, ma di quella che piace agli appassionati di “cose”, di oggetti intesi come strategie elaborate dall’uomo per essere nel mondo.
In fondo, il pane, la bussola, l’anfora, la moneta, la chitarra e la padella e gli altri quattordici oggetti non sono altro che elementi di quello che oggi definiremmo design anonimo, che, come scrive Andrea Branzi, “sembra essere sempre esistito e per certi versi è un fenomeno extrastorico”. Gli oggetti di design anonimo, infatti, sono quegli oggetti prodotti da un sapere popolare, collettivo e diffuso che si sono evoluti e definiti nel tempo attraverso una sorta di “progresso spontaneo” operato da una creatività non riconducibile all’intelligenza di un singolo designer.
Tra questi venti progetti anonimi, il più affascinante è senza dubbio la lucerna. “Un oggetto assolutamente funzionale. Che lo diventa ancor di più quando qualcuno dei nostri antenati intuì, come un prodigio, che si potesse aggiungere qualcosa che gli permettesse di essere trasportato senza inconvenienti. Un’ ansa. […] Il design di questo oggetto è unico. Straordinario. Universale. Durato secoli e secoli e secoli”.
Questo piccolo oggetto, apparentemente così banale, nel Mediterraneo è potentissimo. È l’unica possibilità contro lo spazio notturno del mare, l’unico baluardo che l’uomo ebbe per sconfiggere la notte anteponendogli una flebile luce che pure è “bastata per sopravvivere per un’eternità”.
“E finiva lì, tutta lì. La sua sfida nella notte. E, sperso nel vuoto, continuava ad andare con la sua barca. Diventando stella fra le stelle. Lume fra i mille lumi del cielo”.
Ma il significato della lucerna è determinante non solo per il singolo, ma soprattutto per la collettività. La sua evoluzione in termini dimensionali infatti sarà il faro. “Il faro di Alessandria era davvero una delle grandi meraviglie del mediterraneo. E dunque del mondo. Perciò, il Mediterraneo non poté che innamorarsi di lui. Follemente. Farne un modello”.
Perché in fondo nei fari il mare vedeva la sua stessa essenza di collegamento tra popoli e culture di cui queste luci costituivano i punti di connessione. E si sa, “una rete capillare di luci amiche dei naviganti richiede una certa visione del mondo”. La visione di un mondo in cui ognuno è intimamente interconnesso agli altri per la sopravvivenza, per l’evoluzione, l’avventura, lo studio e la conoscenza.
Storia del Mediterraneo in 20 oggetti non è il canonico libro di design. No, non lo è affatto. E non è neppure il canonico libro di storia, scritto com’è con il suo stile affabulatorio e poetico. Ma rientra appieno nella migliore storia degli oggetti. Quella che supera il semplice descrittivismo, le cronologie e i dati tecnici e ci restituisce il dato più umano degli oggetti, il loro essere stati prodotti da soggetti che con essi si sono indentificati, con essi hanno combattuto la paura, la solitudine e la morte.
Inoltre, operando una classificazione non temporale, ma geografica e scegliendo come limite uno spazio ibrido la cui potenzialità è proprio nei margini, questa storia diventa una storia di oggetti che può aiutarci a conoscere e ricordare le nostre comuni radici. Attraverso il mare che condividiamo e attraverso le cose che usiamo.
Loredana La Fortuna
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