Scrive Frederic-Pau Verrié (Girona 1920-2017), storico dell’arte, archeologo ed editore catalano:
Fra i quattro e i cinque anni sono andato all’asilo dalle suore, nel mio paese, non lontano da Girona e vicino alla Costa Brava. Avevo imparato a leggere da mio padre e là cominciavo a scrivere. Avevamo un quadernetto dove, sotto ogni disegno, compariva il nome che noi dovevamo scrivere ed io non riuscivo a capire perché sotto il disegno di un tavolo, che in catalano si dice taula, io dovevo scrivere mesa e, sotto un altro, dove c’era un cane, che in catalano è gos, io dovevo scrivere perro. Ritornato a casa, mio padre mi fece capire che c’era un potere che pesava su noi tutti e ci vietava, ufficialmente, d’imparare la nostra lingua”.

Il decreto per l’uso della lingua nazionale in tutti i servizi pubblici del 28 luglio 1940 è il documento più importante nella ricostruzione dell’anti-catalanismo franchista. In tale decreto si obbligano i dipendenti pubblici, tra cui anche gli insegnanti, ad usare la sola lingua castigliana, pena il licenziamento immediato, anche in assenza di prove, con soli indizi.

È opportuno ribadire la verità storica in presenza dei sempre più numerosi attacchi negazionisti, che vorrebbero minimizzare la reale condizione di emarginazione, disprezzo e pregiudizio che il catalano, i catalani e le catalane hanno vissuto dopo la Guerra Civile tra il 1939 e il 1975, con una particolare violenza nei decenni Quaranta e Cinquanta.

Il procés, l’attuale processo di costruzione nazionale, coinvolge tutti gli strati sociali, a partire dalla base fino ai gruppi politici di potere. Il catalanismo e la Reinaxença letteraria, che pongono le radici all’autonomismo e all’indipendentismo catalano attuali, hanno origine nel XIX secolo, intorno al 1830. Essi sono frutto della maturità sociale e politica dei catalani: la Catalogna, grazie al suo sviluppo economico è, già nel XIX secolo, più vicina alle società europee maggiormente evolute rispetto ad altre comunità della Spagna, meno dinamiche e più arretrate. Il centralismo spagnolo impedisce l’emancipazione e lo sviluppo del popolo catalano e favorisce un’assimilazione che comporterebbe la progressiva distruzione della lingua e dell’identità catalane. Esso è stato il bersaglio principale del catalanismo ed ha estrazione borghese, ma non solo. Difatti B.C. Aribau, M. Milà i Fontanals, più tardi J. Balmes i Urpià, J. Torras i Bages sono stati legati alla borghesia, ma le classi popolari, che allora parlavano solo catalano, si legarono anch’esse ben presto al catalanismo politico, soprattutto grazie all’opera di Valentí Almirall, che contribuisce ad unire lo spirito letterario del catalanismo della Reinaxença agli ideali repubblicano-federalisti.

È opportuno ricordare che, nel contesto italiano attuale, il termine “federalismo” ha assunto un senso molto distante da quello delle origini, sia nell’Italia sia nella Catalogna dell’Ottocento. Il pensiero federalista in Catalogna è infatti un’interpretazione della società e un progetto politico che vanno nel senso del riconoscimento delle differenze, della solidarietà e della giustizia sociale. Sono dunque tali principi federalisti, anticentralisti e progressisti che vanno a confluire prima nella sinistra catalanista e poi nell’indipendentismo catalano, sopravvivendo anche alle dittature.

Quando in una comunità esistono due lingue ufficiali ci sono spesso conflitti. Ciò avviene soprattutto quando una delle due ha più preponderanza, come è il caso del castigliano (che annovera circa trecento milioni di parlanti) rispetto al catalano (che ne può contare circa dieci milioni). La Spagna castigliana non ha mai capito che ci poteva essere un mondo diverso dal suo e soprattutto un’altra lingua. La persecuzione della lingua infatti è stata un motivo ricorrente nei suoi piani politici rispetto alla Catalogna e non solo durante il franchismo: lo è sotto Filippo IV e il duca d’Olivares nel XVII secolo, lo è brutalmente sotto Filippo V e lo è con i suoi successori che arrivano al punto di vietare anche la catechesi religiosa in catalano nel XVIII secolo. Lo è con Primo de Rivera e infine con Franco.

Manuel de Pedrolo (l’Aranyó, 1918 – Barcelona, 1990), importante scrittore catalano, sostiene che esiste un radicalismo di sterminio, incapace di sopportare che un popolo crei ostacoli alla fame di dominio e un radicalismo di liberazione, che si oppone alla voracità dei dominatori. De Pedrolo, già allora, suggeriva caldamente di sposare il radicalismo di liberazione.

Di certo è importante acquisire un più maturo rispetto per le differenze e la salvaguardia delle minoranze in Europa. Ciò può avvenire attraverso un ripensamento critico delle circostanze che hanno portato alla ferma richiesta, negli ultimi decenni, di riconoscimento identitario da parte di quei gruppi linguistico-nazionali che per molti anni sono stati repressi e inglobati all’interno di nazioni fittizie. Solo così ci si potrà muovere in un’Europa in cui le diverse identità non sentano più la necessità di difendersi contro poteri che possano sopraffarle. Solo così ci si potrà muovere in un’Europa in cui le identità siano riconosciute, ma aperte alla comunicazione e allo scambio. Credo che questa sia l’unica chiave per la democrazia e la pacifica convivenza tra i popoli.

Stefania Sònia Buosi Moncunill

 

Nota dell’autrice
Per la stesura di questo articolo mi sono avvalsa della lettura del libro Pensando alla Catalogna – cultura, storia e società curato da Eulàlia Vega, Edizioni dell’Orso, 2008, del quale suggerisco la lettura integrale. Il volume di Eulàlia Vega, benché edito nel 2008, è ancora attualissimo e raccoglie, nella sua integrità, contributi interessanti su tematiche legate alla Catalogna di importanti studiosi: Giuseppe Grilli, Patrizio Rigobon, Gianni Ferracuti, Maria Campillo, la stessa Eulàlia Vega, Enric Bou, Frederic-Pau Verrié, Lluís Quintana e Claudio Venza. Inoltre contiene alcune ricerche in corso ed una suggestiva raccolta poetica, curata da Marina Lavers, di autori catalani del Novecento: Joan Maragall, Joan Salvat-Papasseit, Carles Riba, Clementina Arderiu, Joan Vinyoli, Salvador Espriu e Òscar Samsó. Il volume nasce a Trieste, città che, grazie alla sua collocazione geografica di crocevia aperto all’Europa, è luogo ideale per la comprensione delle questioni delle minoranze.