A Will chiedo se questo gli sembra un paese in pace o in guerra. «È come appena prima che scoppi una guerra» dice. «È una cosa strana, ma impari ad accorgetene. Anche quando le persone cercano di convincersi che andrà tutto bene, è nell’aria» mi spiega. «Più fisico che mentale». Come un pelo? Come quando a un cane si rizza il pelo? Mi risponde di sì […] Per sopravvivere devi prima pensare al gruppo. Se fai attenzione ai bisogni degli altri senti di avere un obiettivo, e questo ti dà la forza necessaria in un’emergenza.

In Tempo variabile, le paure più umane e i sentimenti contrastanti della protagonista Lizzie, in merito alle indecifrabili sorti del pianeta, comunicano in una fitta e convulsa trama, tessuta da Jenny Offill con un umorismo asciutto e illuminante. Come il titolo icastico suggerisce, le congetture esistenziali e la vita quotidiana di Lizzie scorrono e si intrecciano in un flusso di coscienza aritmico e frammentario, che diviene espressione tangibile di una condizione di psicosi universale e condivisa. Assorbita dal mondo differenziato, quel mondo in cui devi lavare i piatti e portare fuori la spazzatura, Lizzie trascorre le giornate prendendosi cura del marito Ben, a cui è legata da un sentimento in sordina, del figlio Eli iperattivo, della madre credente e del fratello Henry, costretto a fare i conti con la sua tossicodipendenza e un matrimonio privo di successo.

D’altro canto, Lizzie fa la bibliotecaria, è un’acuta osservatrice e un’attenta ascoltatrice, le persone sono solite confidarle le parti più recondite di loro stesse. I soli istanti, avulsi dalla sua routine di decentramento da sé per far spazio agli altri, sono le ore di meditazione con Margot, in cui può concedersi di fluttuare con leggerezza e di godere del panorama dall’alto. Ma questa ricerca di un’epochè, di una sospensione dal caos, si rivela vana, da quando Lizzie decide di aiutare la sua ex tutor universitaria e amica Sylvia, esperta di cambiamento climatico, a rispondere alle mail degli ascoltatori finemondisti di un podcast, Cascasse il mondo: cos’è il capitalismo di sorveglianza? Cos’è la trance culturale? Viviamo nell’Antropocene? Come possiamo salvare le api? È sbagliato mangiare carne? Gli angeli hanno bisogno di dormire come noi? Quando si estingueranno gli uomini? Quali sono i modi migliori per preparare i miei figli al caos imminente? È difficile riuscire a maturare una risposta, che sia valida ed esaustiva al contempo, in un’epoca in cui c’è chi parla di transumanesimo e di come presto ci sbarazzeremo di questi corpi ingombranti per diventare parte della singolarità tecnologica, in cui c’è chi sostiene che con la bioingegneria si può dare agli umani la vista dei gatti per renderli più efficienti.

L’Olocene è l’era dei tecno-ottimisti secondo i quali, una volta morta la generazione non digitale, si parlerà solo di quanto si è guadagnato e non di ciò che si è perso, è l’era della cronofagia in cui anche l’insonnia è diventata una cosa di cui vantarsi. Forse ci si è spinti troppo oltre, forse Sylvia non ha tutti i torti a pensare che l’unica soluzione rimasta all’uomo sia quella di rassegnarsi alla sua finitezza, di accettarsi in quanto essere tra altri esseri senzienti. Le cose cambiano, se a cambiare è la prospettiva dalla quale le si guarda: per esempio se avessimo privilegiato il senso dell’olfatto, i cani sarebbero stati considerati più evoluti e se privilegiassimo la longevità, vincerebbero i pini dai coni setolosi dell’ovest. In fin dei conti, l’eco della crisi sanitaria e globale, che pervade ogni interstizio delle nostre giornate, è il naturale contraccolpo di un congegno ormai difettoso. Ovattato il rumore del traffico, sedata ogni corsa frenetica contro il tempo e contro noi stessi, per far funzionare l’ingranaggio di una società sempre più liquida, ciò che ci resta è un silenzio insolito e l’amara riflessione su quanto ci risulti difficile persino andare a letto accompagnati da un pensiero felice.

«Quella notte sogno di essere in un supermercato. Musica orrenda, illuminazione spietata. Cammino su e giù per i corridoi cercando di abbassare le luci ma non riesco a trovare l’interruttore. Mi sveglio delusa. Dove sono finiti i sogni in cui si vola?»

Claudia Melcarne