Ammettere la realtà a volte è un processo doloroso e complicato, anche nel caso in cui essa diventi palese, indiscutibile. Spesso si sente la necessità di ignorarla come metodo di autodifesa dalle ingiustizie della vita, e per un po’ di tempo la strategia funziona. Eppure, la realtà è l’unica risposta per liberarsi dalla pesantezza dell’essere, per curare il cuore dal dubbio e dai rimorsi, è ciò che aiuta ad essere finalmente liberi dal peso della vita.

Riassumo con queste poche parole il libro dell’autore americano Mitch Albom, The Stranger in the Lifeboat (inedito in Italia). Un libro profondo, scorrevole e commovente, che mette alla prova la nostra fede e i nostri ideali. Mitch Albom è l’autore di molti libri di successo come The First Phone Call from Heaven (Una telefonata dal paradiso, Rizzoli) e The Five People you Meet in Heaven (Le cinque persone che incontri in cielo, Sperling & Kupfer), non a caso anche questi libri a sfondo religioso. Così come i primi due, The Stranger in the Lifeboat è una storia che ha un finale semi-aperto e che quindi non dà una risposta esatta alle nostre domande, ma che ci dona principalmente degli spunti di riflessione.

Sono infatti numerose e profonde le domande che, sin dall’inizio, vengono poste sia a noi lettori, che ai personaggi del libro: cosa faremmo se Dio si presentasse davanti a noi nel nostro maggior momento di necessità? Riusciremo a credere in lui? Lo incolperemmo per non aver fatto abbastanza? E se ci mostrasse dei miracoli, in quel caso riusciremmo a convincerci della sua esistenza?

Dieci persone che condividono un canotto di salvataggio, disperse nell’oceano e senza cibo né acqua, quando riceveranno la visita del Signore saranno costrette a porsi proprio queste domande.

«Nina yelled,”HOW LONG WERE YOU IN THE WATER?” perhaps thinking a raised voice would snap him to his senses. When he didn’t answer, Nina touched his shoulder and said, “Well, thank the Lord we found you.”
Which is when the man finally spoke.
“I am the Lord” he whispered.»

The Stranger in The Lifeboat ci mostra gli estremi della sopportabilità umana, il coraggio di chi ha perso tutto e l’avarizia di chi crede che tutto gli sia dovuto. È la storia di nove umani di varia estrazione sociale (cinque uomini, quattro donne, ed una bambina) prima di imbarcare la Galaxy, la barca del miliardario Jason Lambert, e dopo il naufragio che li ha uniti tutti sullo stesso canotto di salvataggio. La narrazione, infatti, si alterna fra Sea (mare), Land (terra) e News, tre storie unite tutte dalla stessa catastrofe ma che propongono diversi punti di vista dell’accaduto. I capitoli dedicati al mare sono delle pagine di diario scritte da uno dei naufraghi, Benji, che scrive alla sua amata Annabelle come conforto. I capitoli di terra vedono come protagonista un poliziotto dell’isola di Montserrat, nei Caraibi, che trova inspiegabilmente un canotto di salvataggio della Galaxy sulle sponde dell’isola e, al suo interno, un indizio che potrebbe finalmente aiutare a rivelare le circostanze del naufragio. Le News ci parlano del terribile incidente della Galaxy in maniera più oggettiva e schematica, alternandosi fra notizie passate e presenti, e ci donano dei ritratti di vita di alcuni dei naufraghi.

Questi ritratti non solo mostrano un punto di vista diverso da quello del narratore, Benji, che ci dona comunque qualche informazione sul loro conto, ma ci danno modo di giudicare i personaggi non solo in base al loro comportamento sul canotto di salvataggio, ma anche in base alla loro vita. È come se fossimo noi a decidere chi sia degno di essere salvato, in quanto il Signore non sembra voler giudicare o salvare nessuno, almeno finché non tutti i naufraghi credano nella sua esistenza.

«“Are you here to save us?”
His voice softened “I can only do that” he said “when everyone believes I am who I say I am”» p. 11

Il personaggio è silenzioso, non dà consigli pratici ma solo metaforici, e certe volte regala ai naufraghi quello che sembra essere un miracolo. Ad una prima occhiata, potremmo pensare che sia lui il protagonista della storia, l’unica ragione per cui essa venga narrata. In realtà i naufraghi sono il fulcro della storia e lui sembra semplicemente accompagnarli, come testimone silenzioso, alle scelte prese nei giorni trascorsi sul canotto di salvataggio. Sembra una metafora della vita stessa, una maniera per riproporre la relazione fra Dio e uomo.

The Stranger in the Lifeboat è dunque un libro che propone il vero e proprio problema di essere umani: la nostra impotenza. Ci dimostra quindi che, credere, sia tanto importante quanto il nostro rapporto con la fede stessa, perché è proprio il credere che la rende possibile, diventando essa un mezzo essenziale per trovare conforto dalle avversità della vita.

«In the end, there is the sea and the land and the news that happens between them. To spread that news, we tell each other stories. Sometimes the stories are about survival. And sometimes those stories, like the presence of the Lord, are hard to believe. Unless believing is what makes them true.»

Francesca Cefalù