Numero 15 | Dicembre 1998

Un liquore alle dalie è un gioco da bambini è un ideogramma giapponese è una tragedia del seicento, forse. E forse chi scriverà è diventato paranoico almeno quanto uno dei personaggi del libro che sta tentando di spiegare. Il dedalo di parole e di trame in questione s’intitola L’incanto del lotto 49, visionaria e attualissima opera del 1966, e l’enciclopedia che l’ha scritto è aperta alla voce delirio e risponde al nome di Thomas Pynchon. Rifiutarsi di esporre la trama è il primo passo per tentare di decifrarlo. Fatto. Dopo aver ceduto al mondo dei simboli, ci si può dunque immergere nei suoni negli spazi nelle forme di quest’opera metropolitana. Metropolitana è l’ambientazione californiana, metropolitano o meglio c(a)osmopolitano è l’odore della pagina che impregna lettere e parole e s’insinua nel naso di chi legge per condurlo in venefica ipnosi fino all’equazione finzione=realtà. E forse neanche il vecchio Pynchon storcerebbe il naso di fronte a simile uguaglianza, lui che mastica entropia, quanti e Heisenberg. Al primo termine ha dedicato pure un racconto, fine anni cinquanta. E se l’altrettanto vecchio Zingarelli non tradisce quando recita «nella teoria dell’informazione, misura della scarsità dell’informazione contenuta in un segnale», si può capire come lo scrittore abbia fondato su questa concezione l’intero romanzo. Bastano poche pagine per capire che ogni oggetto perde il suo valore sostanziale per diventare segno, simbolo di qualcosa che può essere o non essere. Per questo la rincorsa di Oedipa Maas, la protagonista, verso una verità che forse non esiste e che porta il nome di «Tristero» non ha senso, o forse ha senso perché non ha senso. La signora viene nominata a inizio libro esecutrice testamentaria dell’eredità di un certo Pierce lnverarity, suo defunto amante nonché potente uomo d’affari, i cui possedimenti, aziende oggetti preziosi società più o meno occulte, si tentacolano attraverso un territorio altrettanto caotico e indefinito, fedele e parossistico ritratto del post-moderno, dove luoghi posticci in finto-rifatto si alternano a persone abbandonate a paranoie con cui tentano di scandire e misurare le proprie esistenze. Ogni paranoia rappresenta un tentativo (disperato) di raggiungere una verità, di fronteggiare il caos, ma finisce per diventare alimento del disordine stesso, motore di disinformazione, equivoco tra segno e contenuto. E nonostante/in virtù di tutto questo: realtà.

Ci sono al massimo due foto dell’essere umano Thomas Pynchon in circolazione: forse ha voluto combattere l’entropia del sistema mondo: o forse, dato che, così poche, non sono più foto ma santini, ha voluto beffardamente aumentarla. Forse questa non è una recensione.

Sergio Fortini

Biografia aggiornata

Thomas Pynchon è uno dei maggiori scrittori del nostro tempo ed è considerato uno dei massimi rappresentanti della letteratura postmoderna. Schivo e refrattario, vive lontano dai riflettori e di lui si hanno solo pochissime foto.
Si iscrive alla Cornwell University, ma abbandona per arruolarsi in marina. Ha pubblicato il suo primo racconto nel 1959 nella rivista dell’Università.
È autore di un libro di racconti, Un lento apprendistato (E/O 1984-Einaudi 2007), e di vari romanzi: V. (Rizzoli 1963-2009), L’incanto del lotto 49 (E/O 1966-1998), L’arcobaleno della gravità (Rizzoli 1973-2007), Vineland (Rizzoli 1990-2000),  Mason & Dixon (Rizzoli 1998-2009), Contro il giorno (Rizzoli 2009), Vizio di forma (Einaudi 2011, da cui nel 2015 è stato tratto un film) e La cresta dell’onda (Einaudi 2014).
Fonte: ibs.it

In libreria

L'incanto del lotto 49 di Thomas PynchonThomas Pynchon
L’ incanto del lotto 49
Einaudi, 2005
Collana: Stile libero
Traduzione di M. Bocchiola
174 p., brossura

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